C’era una volta la morte

Prologo

I Greci dell’età arcaica – 600 a.C. – non avevano paura della morte. Nell’esigua iconografia del tempo, rappresentata quasi esclusivamente dalla pittura vascolare, Thanatos (la morte) aveva un aspetto gradevole e giovanile, appena un po’ di barba in più rispetto ad Hypnos, suo fratello gemello, che era il sonno.

I Greci non temevano la morte, ma erano terrorizzati dalla vecchiaia. Il suo dio Geras era un orribile nano cachettico e meritava la violenza di Ercole, che lo colpisce a randellate, in una fatica non raccontata in mitologia.

Nell’idea eroica che gli antichi Greci avevano della vita, gli uomini non solo non avevano paura della morte, ma sapevano benissimo di avere un “rapido destino” (Omero, Iliade I, 417). I morti delle Termopili per Simonide non solo conquistarono con la morte “la parte maggiore della virtù”, ma addirittura una “fama immune da vecchiaia”. Per Iperide, la «bella morte» equivale a un passaggio iniziatico: “Allora erano ragazzini immaturi, ora sono uomini fatti (Epitaph. 28). Insomma, come sostiene Jean-Pierre Vernant (1), in quell’epoca storica mortalità ed immortalità non erano termini antitetici, ma addirittura sinonimi (« mortalité et immortalité, au lieu de s’opposer, s’associent […] et s’interpénètrent »).

E non poteva avere paura della morte chi nella morte trovava l’immortalità.

Perché questo prologo sull’antica Grecia? Certamente per sfoggio culturale. Ma anche perché, quando si dice che una volta la morte era un’altra cosa, si pensa sempre agli antichi Greci, agli Egiziani, agli Assiri e Babilonesi. Invece no. La morte era un’altra cosa cinquant’anni fa. La linea di confine sul cambiamento dell’idea sociale della morte nelle diverse epoche storiche è collocata da Ariès (2) agli inizi del ‘900, e da Illich (3), che usa uno schema storiografico simile, nella seconda metà del secolo scorso.

Morte antica

E com’era una volta la morte? Lo dice Ariès (2), da cui tutti hanno ripreso. Era consapevole, familiare, pubblica.

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