- Nonostante le donne siano le maggiori consumatrici di farmaci, ancora oggi sono sottorappresentate negli studi clinici. Sperimentazioni che non tengono in sufficiente considerazione le differenze biologiche tra i sessi e la specificità delle donne, con un conseguente incremento di reazioni avverse ai farmaci nel genere femminile.
“La mancanza di un’accurata considerazione del sesso e del genere nella valutazione della sicurezza e dell’efficacia dei farmaci danneggia le donne, gli uomini e tutta la popolazione che non si riconosce in una dimensione sessuale binaria. All’interno della Società Italiana di Farmacologia, un gruppo di ricercatori si occupa di discutere e confrontarsi su questo tema con il fine di aumentare la consapevolezza della necessità di approcci terapeutici personalizzati, di motivare il cambiamento, per avvicinarci sempre più ad una medicina moderna, attenta e garante della specificità di ciascuno di noi” – sottolinea la Prof.ssa Luigia Trabace dell’Università di Foggia. Di fatto, nonostante il genere femminile sia il maggior consumatore di farmaci, il mondo della sperimentazione tende ad escludere le donne e a non tenere in sufficiente considerazione la loro specificità, con un conseguente incremento di reazioni avverse ai farmaci. Un tema al quale è stato dedicato un approfondimento in occasione del 41° Congresso Nazionale della Società di Farmacologia (SIF), in programma a Roma dal 16 al 19 novembre.
“Queste differenze biologiche tra i sessi – prosegue la Prof.ssa Trabace – possono influenzare in maniera determinante uno o più processi ai quali è sottoposto un farmaco quando entra nell’organismo. Se tali aspetti sono importanti nella sperimentazione preclinica condotta sugli animali, diventano ancora più cruciali durante la sperimentazione clinica in cui il farmaco viene testato sull’uomo. Tuttavia, ancora oggi – tranne nei casi in cui ci si riferisca a patologie specificatamente femminili – la ricerca farmacologica condotta nei laboratori si avvale per il 75% di animali maschi in quanto storicamente ritenuti meno ‘problematici’, poiché meno soggetti a fluttuazioni ormonali. Allo stesso modo, durante la sperimentazione clinica, le donne sono sottorappresentate. In generale, la partecipazione delle donne risulta insufficiente e inadeguata in tutte le varie fasi e, in particolare, negli studi di fase 1 in cui ha inizio la sperimentazione del principio attivo sull’uomo con lo scopo di raccogliere i dati preliminari sulla sicurezza e tollerabilità del medicinale”.