Il dolore reumatico nell’anziano

RIASSUNTO
È di tutta evidenza che il dolore è in grado di peggiorare la qualità di vita del paziente – e del soggetto anziano, in particolare. In una recente survey italiana, condotta sull’intera popolazione di una cittadina umbra, fra le molteplici altre valutazioni ha confermato che le malattie reumatiche croniche compongono il gruppo di affezioni con maggiore prevalenza di dolore cronico, attestandosi ad oltre il 50% di tutto il campione studiato. L’articolo fa il punto su epidemiologia, fisiopatologia, nosografia del dolore reumatologico nel paziente anziano e sulle terapie, dimostrando come il medico che si prende cura di un paziente anziano con dolore cronico dovrà essere un esperto terapeuta sul piano farmacologico, ma anche saper trattare il dolore cronico come una malattia globale.

Parole chiave: dolore reumatico, anziano

Ricevuto: 25 agosto 2016
Accettato: 2 settembre 2016
DOI: 10.19190/PNM2016.2ap60

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Taylor e il Taylorismo: efficace anche nella pratica medica?

Frederick Taylor è considerato il fondatore della teoria della gestione scientifica riguardo i processi produttivi. Ingegnere meccanico di Filadelfia, vissuto fra il XIX e il XX secolo, Taylor era convinto che per ogni lavoro esistesse un modo migliore di tutti gli altri, per essere svolto, sul piano del tempo di realizzazione, con un importante miglioramento sia dell’efficacia sia dell’efficienza del sistema produttivo stesso. Da queste premesse Taylor propose i criteri per individuare i migliori protocolli per l’esecuzione di un lavoro, tanto che sosteneva che se “in passato l’uomo veniva per primo”, nel futuro “per primo verrà [e varrà, ndt] il sistema”.
Nel campo della Medicina moderna il taylorismo ha prodotto conseguenze positive e negative, allo stesso tempo. Iniziamo da queste ultime.
La durata di una visita medica è stata stabilita in modo aprioristico, indicando un tempo massimo, così come sono stati strutturati questionari in formato elettronico per raccogliere la storia clinica di un Paziente. Se da un lato in questo modo viene ottimizzato il tempo, dall’altra parte sostanzialmente toglie al rapporto fra Medico e Paziente quella metodologia di indagine nota come “Medicina Narrativa”. Anche i tempi di ricovero sono stati progressivamente ridotti per il contenimento dei costi di degenza, anche se i processi biologici di stabilizzazione e di guarigione non possono essere ridotti oltre un certo limite – limite che coincide con un rischio clinico che non può essere sottovalutato. Dunque seguendo pedissequamente il Taylorismo, il Medico rischia di non svolgere il proprio lavoro nel modo migliore non solo sul piano clinico, ma anche su quello umano e relazionale (quest’ultimo, fondamentale aspetto: dalla raccolta dei dati anamnestici alla comprensione delle aspettative e dei timori del Paziente, dal follow-up clinico allo sviluppo dell’alleanza terapeutica che si rivela essere sempre più importante).
L’applicazione dei principi del Taylorismo ha prodotto, nel contempo, enormi vantaggi sul piano diagnostico e terapeutico d’urgenza. Ad esempio, se si pone attenzione ai protocolli di intervento cardiovascolare (infarto del miocardio) e neurologico (ictus ischemici ed emorragici) è di tutta evidenza che l’ottimizzazione – e soprattutto la velocizzazione – dei tempi di diagnosi e di cura abbia contribuito a porre diagnosi immediate così come ad intervenire positivamente nel giro di pochi minuti.
I Medici possono essere letteralmente ossessionati dal contingentamento degli orari, mentre i Pazienti hanno necessità – e diritto – ad avere un consulto tanto esaustivo quanto soddisfacente sul piano personale ed umano. Il Sistema offre tecnologie e trattamenti sempre più veloci per la salvaguardia di una vita e per la prevenzione di un danno altrimenti irreversibile e fatale.
Questa sostanziale dicotomia deve trovare un punto di incontro – diverso fra Paziente e Paziente. In altre parole, il Taylorismo non può essere applicato in modo indistinto e, per chiosare queste brevi note, nel caso specifico dell’Arte Medica, Taylor non aveva ragione: è l’individuo, e non il sistema, che deve essere collocato al primo posto.

Pain Nursing Magazine 2016; 5: 11
DOI: 10.19190/PNM2016.1ed11

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La riabilitazione in reumatologia

Le malattie reumatiche costituiscono una sfida sempre più importante nella moderna medicina della complessità, con un costante incremento della loro prevalenza, che condiziona rilevanti conseguenze economico-sociali e un elevato rischio di invalidità.
Sono soprattutto le artropatie croniche – artrite reumatoide e psoriasica, spondilite anchilosante e spondiloartriti sieronegative, osteoartrosi localizzata e generalizzata – le condizioni nosografiche che possono presentare una storia clinica caratterizzata da un andamento progressivo ed evolutivo, spesso con esito in una invalidità di grado severo, sempre insieme a dolore cronico di tipo infiammatorio, degenerativo e neuropatico.
Se da un lato la disponibilità di innovativi farmaci biotecnologici (anti-TNF.alfa, anti-DC.20 ed anti-IL.6) ha permesso, in taluni casi, di modificare la storia naturale dei disordini infiammatori – ma solo se l’inizio della terapia avviene nei primissimi mesi dalla diagnosi – l’osteoartrosi non si può avvalere ancora di una terapia in grado di condizionare l’arresto della progressione di malattia e l’inizio di una remissione clinica con ripresa della funzionalità e della performance articolare.
Nell’ambito, allora, di una medicina sistemica e di una terapia multimodale, da sempre si è tentato di intervenire, precocemente e a lungo, sul rischio di disabilità per mezzo di programmi mirati di riabilitazione e di fisioterapia.
Oggi i due aspetti terapeutici si possono incontrare e possono dare risposte cliniche impensabili fino a pochi anni or sono: le molecole biotecnologiche consentono un enorme avanzamento della qualità delle cure per i pazienti affetti da artriti croniche, mentre un programma personalizzato di riabilitazione intensiva e di fisioterapia si rivela in grado di ridurre il rischio di invalidità e di mantenere efficienti le performance articolari dei pazienti.
Il progetto di una riabilitazione intensiva reumatologica è stato realizzato presso l’Ospedale di Cascia (in provincia di Terni) ed è ormai una realtà consolidata.
Una riabilitazione dedicata alle malattie reumatiche non trova eguali esperienze in tutta l’Italia centrale e dunque Cascia, che ne rappresenta il centro geografico, si propone come nucleo strategico, in grado di rispondere alle esigenze di un sempre maggior numero di pazienti.
È motivo di ulteriore orgoglio, ricordare che l’Ospedale di Cascia è stato recentemente inserito nell’offerta formativa dell’Ateneo di Perugia per i Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e di Scienze Riabilitative e Fisiatriche.
Deve essere infine sottolineato come questo progetto sia stato realizzato grazie al sostegno delle Amministrazioni, Sanitarie ed Accademiche, grazie alla lungimiranza dell’Amministrazione Regionale per la Sanità e della Municipalità di Cascia e grazie all’entusiasmo degli operatori – medici, terapisti ed infermieri, che sostengono ed affrontano il peso assistenziale di un lavoro a volte faticoso, ma sempre pieno di soddisfazioni.

Stefano Coaccioli
Editor-in-Chief

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