Il fine vita: le cure palliative e le dichiarazioni anticipate di fine vita

RIASSUNTO
Quello del fine vita è un tema complesso sul quale sono in corso da anni dibattiti sociali, etici, religiosi e politici. Comprende tematiche importanti come il rischio di accanimento terapeutico, le problematiche dell’eutanasia, la sospensione delle terapie, l’idratazione e la nutrizione artificiale, la terapia del dolore, le cure palliative, le dichiarazioni anticipate e il testamento biologico. Si comprende quindi l’importanza di studiare tutti i fattori etici e culturali, al fine di accrescere la consapevolezza della reale portata del problema e provare a concretizzare linee guida standard comuni per gli operatori sanitari.  L’obiettivo dei sanitari deve essere quello di mantenere la migliore qualità di vita possibile, sia nella fase di malattia avanzata in progressione, che in quella prossima alla morte. Una ricerca sistematica nel database elettronico Medline ha permesso di valutare la letteratura scientifica presente sull’argomento e approfondire raccomandazioni ed evidenze scientifiche. Le cure palliative nascono come risposta al non abbandono del paziente e del rispetto della persona inguaribile che viene assistita garantendo la presa in carico globale, assicurando il sollievo dal dolore, la cura di tutte le fonti di sofferenza, fisica, psicologica, sociale e spirituale. Le dichiarazioni anticipate di fine vita ad oggi rimangono al centro di una discussione politico-sociale e sanitaria che sembra non promettere a breve la promulgazione di una legge specifica che garantisca al paziente di rifiutare od accettare un trattamento nella fase terminale della propria vita. La gestione ottimale dei sintomi, innanzitutto il dolore, rappresentano comunque un aspetto fondamentale per evitare decisioni estreme quali l’eutanasia.
PAROLE CHIAVE: fine vita, DAT (dichiarazioni anticipate di trattamento), cure palliative.

Ricevuto: 6 dicembre 2015
Accettato dopo revisione: 27 dicembre 2015

Leggi tutto Il fine vita: le cure palliative e le dichiarazioni anticipate di fine vita

La nevralgia di Arnold

RIASSUNTO
La nevralgia di Arnold è una nevralgia da irritazione del nervo di Arnold che origina   dalla branca posteriore della seconda radice cervicale, la sua funzione è sensitiva. È   definita anche nevralgia occipitale. È una patologia rara, anche se probabilmente è più frequente di quanto si immagini, perché spesso è confusa con altre cefalee di tipo cronico e può provocare gravi problemi tanto da risultare, nei casi severi, invalidante. L’articolo descrive il caso di una paziente di 80 anni sottoposta a vari accertamenti e trattamenti prima della diagnosi di nevralgia di Arnold, per la quale è stata trattata con risultati positivi.
PAROLA CHIAVE: nevralgia di Arnold.

Ricevuto il: 18 novembre 2015
Accettato dopo revisione il: 20 dicembre 2015

Leggi tutto La nevralgia di Arnold

È bastato il tempo di una notte

In questo numero di Pain Nursing Magazine, lo spazio riservato ai Gruppi di studio di infermieristica del dolore della Fondazione Procacci ospita una riflessione di Paola Giussani.
Per saperne di più sui Gruppi di studio clicca qui

Te ne rendi conto dopo. Fino ad allora lo sapevi, certo, ma non capivi. È bastato il tempo di una notte. Nel momento in cui te ne rendi conto il dolore è fortissimo, il dispiacere immenso, l’impotenza totale, le lacrime senza fine. Non ti capaciti di come la persona che era davanti a te nella salita, che ti ha sempre aiutato quando avevi bisogno, ora, mentre si intravede un po’ di pianura improvvisamente scivola e comincia a cadere.
È bastato il tempo di una notte.
Ora mi guarda da un letto, con lo sguardo fisso, incapace di difendere la proprio dignità ed intimità. L’unica cosa che riesco a fare è afferrare quella mano e far sì che quella caduta sia il più dolce possibile. Il suo sguardo mi dice che lei sa che è così e si affida. Mamma mia quanto fa male! Mai come oggi ho capito cosa sono le cure palliative. Io che sono un’infermiera e che delle cure palliative ho fatto la mia professione. Alle cure palliative ho dedicato tempo, passione nel creare progetti, rabbia per i fallimenti, lacrime per le tante persone che ho dovuto salutare, ma anche gioie per i mattoni rimasti, per le persone che ricordano le poche ore condivise, ma che per loro sono state importanti.
Queste cose le capisco ora, quando è il tempo della restituzione verso chi, per me, ha avuto gli stessi gesti di cura e ne ha avuto per gli altri e mi ha portato ad essere quella che sono. Sperimento anch’io la rabbia, la frustrazione, il dolore, l’impotenza e la gioia del prendersi cura. I gesti così tante volte rivolti e insegnati ad altri ora sono per colei che mi ha portato fino in cima alla salita. Penso alle tante persone incontrate, alle tante famiglie, ai tanti malati che ho seguito e che ora non ci sono più. Adesso capisco. Il peso è veramente tanto da portare! Una Croce a volte troppo pesante. E io lì con loro, con la mia competenza e la presunzione di volerlo sollevare questo peso.
E mi guardo indietro, penso al perché di una scelta. Una scelta fatta poco più che maggiorenne, quando si è spinti più che dalla consapevolezza della scelta stessa, da ideali nobili: fare qualcosa per gli altri. Questi “altri” con cui da sempre, da che ho memoria, negli anni ho dovuto condividere la mia casa, la tavola (“bambini spostatevi che dobbiamo aggiungere un posto a tavola, questa persona mangia con noi e dividiamo quello che c’è”), i genitori… (“stasera c’è questo/quello quest’altro”), sempre per qualcuno o qualcosa in cui credevano.
Nella mia indecisione di fine adolescenza, proprio lei mi fece conoscere un suo amico medico, che mi affascinò parlandomi della figura dell’infermiera, in verità più come vocazione/missione che come professione, ma allora questa idea era molto diffusa. Così scelsi la scuola infermieri, il diploma, e via, pronta con un bagaglio di conoscenze teoriche e pratiche da dispensare a chiunque ne avesse bisogno.
Poi divento donna, moglie, madre, con la responsabilità delle scelte. Ho sempre pensato di dover scegliere a discapito di qualcosa.
La famiglia al posto del lavoro.
Lavoro tranquillo al posto della carriera.
Gli altri al posto di me stessa.
Quanti dubbi e sensi di colpa:
– se era la scelta giusta occuparsi della morte degli altri,
– dedicare tanto tempo a un’idea perché potesse realizzarsi,
– quanta voglia di mollare tutto (il peso a volte è troppo da sopportare da soli e ti sembra sempre che nessuno ti capisca),
– allora non molli, ma vuoi ridefinire le cose perché cosi puoi avere tutto sotto controllo. E per le donne che lavorano l’organizzazione è essenziale: una brava donna si sa organizzare e arriva dappertutto).
La lista è lunga e sono sicura che ciascuno di voi potrà aggiungere una sua paranoia, ognuno avrà un suo elenco.
E con questa specie di schizofrenia, questi alti e bassi, di tutto e il contrario di tutto, sono passati trent’anni dal quel diploma e trent’anni di gesti di cura per gli altri, per i figli, veramente tanti.
Trent’anni di continui rivedersi e correggersi per arrivare a quello che sono ora. A ricercare quella consapevolezza di una professione e di una scelta.
Un work in progress.
E gli altri? Per me sono presenze importanti, a volte ingombranti e asfissianti dai quali ho bisogno di prendere le distanze per un po’. cerco di buttarli fuori dalla porta ma rientrano dalla finestra.
Gli altri sono quelli che mi aiutano a scegliere, sono quelli che incontri per caso e ti cambiano la vita,
Gli altri sono quelli che mi fanno vedere cose di me che non vorrei vedere.
Gli altri sono i malati che ti chiedono di star loro accanto.
Gli altri sono le famiglie che ti permettono di stare accanto.
Gli altri sono la tua famiglia, tuo marito e i tuoi figli, quelli per cui tante volte ti sei sentita in colpa perché pensavi di averli trascurati, ma dai quali invece ricevi la forza e il senso per continuare.
È bastato il tempo di una notte… ora lo so.
Essere infermiere non ti vaccina contro il dolore e la sofferenza.
Essere infermiere ti permette di condividere la tua stessa vulnerabilità di fronte alla sofferenza e alla morte.
Come mia madre con me ora, io con loro; il prendersi cura ci appartiene e si trasmette e la vita continua.
Per te mamma, adesso potrò essere un’infermiera migliore.

Paola Giussani
Coordinatrice infermieristica, Associazione Palma onlus, Como

Leggi tutto È bastato il tempo di una notte

Riflessioni sul vivere e il morire

In questo numero di Pain Nursing Magazine, lo spazio riservato ai Gruppi di studio di infermieristica del dolore della Fondazione Procacci ospita una riflessione di Manuela Rebellato.
Per saperne di più sui Gruppi di studio clicca qui

Mi è stato chiesto di scrivere un’opinione, una qualunque su di un argomento di Geriatria a scelta ed ecco allora lo sconcerto da foglio bianco: sono innumerevoli le cose che si potrebbero e si dovrebbero scrivere, argomenti su cui interrogarsi e formulare coraggiosamente il pensiero e il proprio sentire.
Si è quindi affacciato alla mia memoria, prendendo forma e consistenza, il ricordo della rappresentazione teatrale de “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello, il tema di fondo rappresentato dallo stato di essere di un uomo che non riconosce più sé e neppure il proprio modo di guardare al mondo, alla propria vita e a quella degli altri: il suo medico gli ha comunicato che gli restano solo pochi mesi di vita a causa di un male devastante:
“…Perché, caro signore, non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c’è, c’è, ce lo sentiamo tutti qua, come un’angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell’atto stesso che la viviamo, è cosí sempre ingorda di se stessa, che non si lascia assaporare. Il sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. Il gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati. Ma legati a che cosa? A questa sciocchezza qua… a queste noie… a tante stupide illusioni… insulse occupazioni… Sí, sí. Questa che ora qua è una sciocchezza… questa che ora qua è una noia… e arrivo finanche a dire, questa che ora è per noi una sventura, una vera sventura… sissignori, a distanza di quattro, cinque, dieci anni, chi sa che sapore acquisterà… che gusto, queste lagrime… E la vita, perdio, al solo pensiero di perderla… specialmente quando si sa che è questione di giorni.”
È un atto unico, tratto dalla novella Caffè notturno, ci sono l’Uomo e l’Interlocutore che si confrontano sul senso della vita: l’Uomo che sta per morire (il fiore rappresenta la metafora dell’epitelioma) e per il quale la vita assume un nuovo significato e impone un’attenzione intensa e rigorosa, e l’interlocutore che riproduce la condizione di normalità di chi si sente padrone del tempo, e si lascia trascinare e coinvolgere dai banali eventi quotidiani.
Quello che all’inizio è un dialogo presto scivola nel monologo dell’Uomo, in un dire a se stesso, egli si sente ormai solo più uno spettatore del mondo e ciò che cerca, vede e prova appartiene già a un mondo differente:“…Ah, non lasciarla mai posare un momento l’immaginazione: – aderire, aderire con essa, continuamente, alla vita degli altri… – ma non della gente che conosco. No, no. A quella non potrei! Ne provo un fastidio, se sapesse, una nausea. Alla vita degli estranei, intorno ai quali la mia immaginazione può lavorare liberamente, ma non a capriccio, anzi tenendo conto delle minime apparenze scoperte in questo e in quello. E sapesse quanto e come lavora! fino a quanto riesco ad addentrarmi! Vedo la casa di questo e di quello; ci vivo; mi ci sento proprio, fino ad avvertire… sa quel particolare alito che cova in ogni casa? nella sua, nella mia. – Ma nella nostra, noi, non l’avvertiamo più, perché è l’alito stesso della nostra vita, mi spiego?”
Fin qui poco di nuovo, tutti sappiamo che alcuni beni si apprezzano solo nel momento in cui vengono irrimediabilmente perduti; ben oltre l’eccesso che di questa frase si è fatto, è comunque opportuno ammetterne la verità.
Quante volte però ci soffermiamo a pensare agli uomini col fiore in bocca che incontriamo, curiamo e di cui ci prendiamo cura? In fin dei conti molti di essi non hanno tantissimo tempo innanzi. Non propongo con queste righe una deriva relativamente pietistica né tanto meno l’odioso buonismo, ma suggerisco la riflessione che noi spesso rappresentiamo per il paziente, l’Interlocutore del Pirandello e come tale veniamo posti sotto la lente, i particolari mancanti vengono immaginati sino ad acquisire caratteristica di verità:
“…Attaccarmi cosí – dico con l’immaginazione – alla vita. Come un rampicante attorno alle sbarre d’una cancellata…”
“…Io le dico che ho bisogno d’attaccarmi con l’immaginazione alla vita altrui, ma così, senza piacere, senza punto interessarmene, anzi… anzi… per sentirne il fastidio, per giudicarla sciocca e vana, la vita, cosicché veramente non debba importare a nessuno di finirla…”
“…Ma è che certi richiami d’immagini, tra loro lontane, sono cosí particolari a ciascuno di noi; e determinati da ragioni ed esperienze cosí singolari, che l’uno non intenderebbe più l’altro se, parlando, non ci vietassimo di farne uso. Niente di piú illogico, spesso, di queste analogie…”
Nella rappresentazione del Pirandello accade che l’Uomo dal fiore in bocca raffiguri la vita, seppure il tempo scorra ed egli sappia di averne poco non perde un solo istante, attento ad ogni colore a ciascuna emozione, al singolo pensiero, a fermare e dilatare l’attimo; l’Interlocutore, preso dai suoi piccoli affanni quotidiani, si limita a sopravvivere lasciandosi scorrere addosso il tempo e le cose, trascinato dalla propria incuranza, si avvia verso l’insipienza esistenziale e con altrettanta non curanza diventa egli stesso la rappresentazione della morte.
“E mi faccia un piacere, domattina, quando arriverà. Mi figuro che il paesello disterà un poco dalla stazione. All’alba, lei può fare la strada a piedi. Il primo cespuglietto d’erba su la proda. Ne conti i fili per me. Quanti fili saranno, tanti giorni ancora io vivrò […]. Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando […]. Buona notte, caro signore. “

Manuela Rebellato
Responsabile Counselling, Ospedale a Domicilio. Geriatria, UVA, Cure intermedie-Post Acuzie
AOU Città della Salute e della Scienza, Torino, Presidio Molinette

Leggi tutto Riflessioni sul vivere e il morire