Cenni sulla valutazione del dolore in cure palliative

Riassunto

Il dolore è un problema universale che non risparmia le persone in cure palliative e le cure di fine vita. Rimangono ancora numerose le barriere per una buona gestione del dolore acuto e cronico soprattutto nelle popolazioni fragili. Azioni assistenziali interdisciplinari garantiscono migliori esiti sia nel sollievo del dolore, che nella riduzione della sofferenza dei pazienti e dei loro cari che condividono questa particolare esperienza di vita. Questo articolo, senza presunzione alcuna, introduce ad alcuni modelli e strumenti che possono essere utilizzati dagli infermieri e altri operatori sanitari nella gestione del dolore, come dovere etico e clinico.

Parole chiave: dolore cronico, cure palliative, cure di fine vita, infermieristica, valutazione

Abstract

Pain is a universal problem that doesn’t spare palliative care and end of life care. The barriers to appropriate management of acute and chronic pain in these fragile populations still remain high. Interdisciplinary approach should guaranteeing better outcomes both in pain relief and in reducing the suffering of patients. This article, without any presumption, introduces some models and tools that can be used by nurses and other healthcare practitioner in pain management, as an ethical and clinical duty.

Keywords: chronic pain, palliative care, end of life care, nursing, assessment

 

La parola dolore deriva dal latino “dŏlŏr, doloris”, che significa patimento, afflizione. Secondo la nuova definizione l’International Association for the Study of Pain, il dolore rappresenta una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a, o che assomiglia a quella associata a, un danno tissutale attuale o potenziale (1). In ogni caso:

  1. Il dolore è sempre un’esperienza personale che può essere influenzata a vari livelli da fattori biologici, psicologici e sociali.
  2. Il dolore e la nocicezione sono due fenomeni differenti. La presenza di dolore non può essere dedotta solamente dall’attività nei neuroni sensoriali.
  3. Gli individui imparano il concetto di dolore attraverso le loro esperienze di vita.
  4. Il resoconto di un’esperienza di dolore dovrebbe essere rispettato.
  5. Sebbene il dolore abbia solitamente un ruolo adattivo, esso può avere effetti avversi sul funzionamento e sul benessere psicosociale dell’individuo.
  6. La descrizione verbale è solo uno dei tanti comportamenti usati per l’espressione del dolore; l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un essere umano o un animale esperisca dolore.

Questa definizione rispetto alla precedente definizione (1979), consiste nel sostituire la terminologia che si basava sulla capacità di una persona di descrivere l’esperienza per qualificarla come dolore. Ci si è resi conto di come questa formulazione escludesse neonati, anziani e altre popolazioni, non in grado di verbalizzare l’esperienza vissuta di dolore (unable to self-report). Tale esperienza unica, può essere descritta al meglio solo da chi la vive in prima persona, rappresentando pertanto “qualunque cosa la persona dice sia ed esista ogni volta che dice che ci sia” (2). Il soggetto self-report, ossia il soggetto verbalizzante, rappresenta il gold-standard per la valutazione del sintomo dolore. Il dolore rappresenta un problema di salute universale che le persone sono chiamate ad affrontare sia che si presenti come sintomo di una malattia sottesa, sia che rappresenti esso stesso una malattia come accade nel dolore cronico. Il dolore non risparmia alcuna età, sesso, genere, status socio-economico, livello di istruzione o grado di sviluppo cognitivo rappresentando la causa più frequente che conduce le persone a richiedere cure sanitarie (3, 4).Il dolore rappresenta un ostacolo di difficile superamento per mantenere una qualità di vita ottimale che garantisca al singolo individuo di vivere in una condizione di benessere (5). Inoltre è uno dei principali motivi che determina l’assunzione di farmaci ed è un fattore chiave che impatta sulla qualità della vita (6), è in grado di limitare l’assenteismo da lavoro e il presentismo, nonché la stessa produttività. Il suo impatto economico non è trascurabile e per questo motivo, l’attenzione alle conseguenze sociali derivanti da una cattiva gestione del dolore dovrebbe essere una priorità per tutte le nazioni (7).

Dolore e compassione

Il sollievo dal dolore è un diritto fondamentale degli individui, ei pazienti devono essere istruiti e informati sul loro dolore, su come può essere meglio misurato, trattato con farmaci e con approcci non farmacologici a disposizione, come sancito dalla Legge Italiana n. 38/2010 (8).

I principi etici obbligano gli operatori sanitari a fornire cure commisurate alle reali necessità dell’assistito e devono essere garantiti gli stessi standard a tutti gli assistiti ed alle popolazioni vulnerabili, in particolare a coloro che non sono in grado di esprimere da soli il proprio dolore, anche a causa di difficoltà nella comunicazione, soprattutto verbale. Fornire cure di qualità alle persone che non possono verbalizzare il proprio dolore garantisce il principio di giustizia,la virtù rappresentata dalla volontà di riconoscere e rispettare il diritto di ognuno mediante l’attribuzione di quanto gli è dovuto secondo la ragione e la Legge. Queste cure sono fornite con compassionee indipendentemente dalle caratteristiche dell’individuo, dal suo status economico, o dalla natura del problema di salute. La compassione èla capacità di comprendere lo stato emotivo di un’altra persona ed è spesso confusa con l’empatia che, come è noto, è la capacità di mettersi al posto dell’altro; la compassione ha l’elemento aggiunto di avere il desiderio di alleviare o ridurre la sofferenza dell’altro. Sebbene la compassione e l’empatia siano due cose separate, avere compassione per qualcuno può portare a provare empatia per un’altra persona. Nel gergo comune la parola compassione viene confusa e sostituita erroneamente con compatire, ma non è così. La compassione nelle cure infermieristiche può essere vista come “il bene più prezioso dell’assistenza“(9), come elemento fondamentale dell’assistenza infermieristica e uno dei punti di forza della professione. Secondo Torjuul et al. (2007) (10) la compassione implica essere vicini ai pazienti e vedere la loro situazione come qualcosa di più di uno scenario clinico e di procedure di routine. I malati cronici cercano e traggono beneficio dalla compassione offerta dal professionista sanitario, ma sfortunatamente la costrizione del tempo nella pratica clinica quotidiana non si coniuga con le esigenze emozionali dei pazienti affetti da dolore cronico. Mantenere il senso della connessione tra professionista e paziente risulta molto spesso una sfida difficile da mantenere e garantire. È stato dimostrato che l’intervento assistenziale fornito con compassione influenza l’elaborazione emozionale, riduce il disagio fisico e l’intensità del dolore, oltre ad aumentare l’accettazione al dolore cronico (11). Purtroppo, il progresso tecnologico, seppur importante nel migliorare gli esiti dei trattamenti e dell’efficienza, può creare una barriera emozionale, con la riduzione delle opportunità di interazione e di compassione con l’assistito.

Cenni epidemiologici del dolore in Cure Palliative

Le stime di prevalenza nelle popolazioni in cure palliative (CP) che non sono alla fine della vita sono difficili da trovare e possono essere addirittura superiori alle cifre riportate. La prevalenza del dolore in CP e nel fine vita rimane ancora troppo elevata e inaccettabile ai giorni nostri, con realtà difformi non solo sul territorio mondiale, ma anche sullo stesso territorio nazionale, ove la rete delle cure palliative stenta a partire e a garantire standard ottimali.

Sebbene l’istruzione e la formazione abbiano migliorato le competenze peculiari di medici e infermieri nella gestione del dolore, molti pazienti continuano a ricevere una inadeguata analgesia. Più del 70% dei pazienti oncologici riferisce dolore, e più del 36% dei pazienti con malattia metastatica ha dolore severo che influenza negativamente la qualità della vita degli stessi obbligando spesso le persone indipendenti che potrebbero essere gestite presso il proprio domicilio a diventare prematuramente istituzionalizzate, anche in maniera inappropriata. Il dolore, inoltre, può divenire una costante nel ricordo della inguaribile e progressiva natura della malattia cancerosa suscitando emozioni psicologicamente devastanti (12).

In un recente studio realizzato sulla popolazione residente in hospice, la prevalenza del dolore era intorno al 60% (13), mentre in una meta-analisi di 52 studi che coprono uno spazio temporale di 40 anni, è emerso che il 64% dei pazienti con patologia cancerosa avanzata soffrivano di dolore, di cui un terzo di tutti i pazienti censiti riferivano un dolore di intensità moderato-severo (14).Inoltre, in una recente revisione sistematica che aveva studiato i sintomi nel fine della vita, è emerso che il dolore era presente in circa la metà dei pazienti studiati (52,4%) (15).

Aspetti etici nella gestione del dolore

Il sollievo dal dolore e dalla sofferenza è tra le più importanti priorità in Cure Palliative (CP) e tra gli esiti assistenziale (out-come) che gli infermieri hanno il dovere di raggiungere. È in questa linea che molte società scientifiche a carattere nazionale e internazionale, associazioni e ordini professionali si sono orientati per promuovere una necessaria cultura “al non soffrire inutilmente” attraverso una presa di coscienza consapevole ditutti gli operatori sanitari che quotidianamente contrastano il di dolore.

Il Codice Deontologico dell’Infermiere (2019) (16) dedica due articoli sulle responsabilità etiche per tutta la professione alla lotta contro il dolore, nelle nostre realtà sanitarie, o in qualunque luogo in cui l’infermiere è chiamato a svolgere la sua funzione. L’articolo 18, cita: “L’Infermiere previene, rileva e documenta il dolore dell’assistito durante il percorso di cura. Si adopera, applicando le buone pratiche per la gestione del dolore e dei sintomi a esso correlati, nel rispetto delle volontà della persona”. L’infermiere si fa garante della tutela di chi riceve le sue cure affinché siano raggiunti obiettivi di cura in grado di identificare e limitare il dolore attraverso le cure del caso. Inoltre ritiene fondamentale il sostegno che la stessa figura infermieristica può fornire nella gestione di tutti quei sintomi che possono ridare dignità a chi soffre, migliorando la qualità della vita anche nel fine vita (art. 24): “L’Infermiere presta assistenza infermieristica fino al termine della vita della persona assistita. Riconosce l’importanza del gesto assistenziale, della pianificazione condivisa delle cure, della palliazione, del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale e spirituale. L’Infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento della persona assistita nell’evoluzione finale della malattia, nel momento della perdita e nella fase di elaborazione del lutto.

Anche l’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore (AISD) e la Fondazione Paolo Procacci nel proprio Codice Etico, pongono l’accento di testimoniare nelle differenti realtà istituzionali azioni contro il dolore, in tutte le sue manifestazioni cliniche, attraverso strategie che rivestono un’importanza non solo a livello scientifico e assistenziale, ma anche sociale, economica e politica(5).

Secondo l’American Nurses Association, gli infermieri hanno una responsabilità etica nel fornire cure eccellenti per affrontare il dolore. Per garantire un’eccellente gestione del dolore bisogna considerare le indicazioni cliniche, l’identificazione reciproca degli obiettivi per la gestione del dolore, gli interventi interprofessionali, la collaborazione e la consapevolezza del professionista degli standard per la valutazione e la gestione dei diversi tipi di dolore.”(17).

L’American Society for Pain Management Nursing (ASPMN) e l’Hospice and Palliative Nurses Association (HPNA) pongono una posizione chiara sulle responsabilità che gli infermieri e gli altri operatori sanitari hanno nel garantire e sostenere i trattamenti del dolore efficaci, efficienti e sicuri, nonché la gestione dei sintomi per alleviare la sofferenza per ogni paziente che riceve cure nel fine vita, indipendentemente dalla loro età, malattia, storia di abuso di sostanze o luogo di cura (18).

È essenziale instaurare rapporti educativi di comunicazione efficace, in quanto rientra tra le responsabilità dell’infermiere fornire cure sicure ed efficaci, rispettando anche l’autonomia del paziente e della famiglia, che hanno diritto all’autodeterminazione. Supportare quindi la loro autonomia, significa fornire tutte le informazioni necessarie per garantire, e prendere una decisione informata al fine di partecipare attivamente alla gestione del proprio dolore.

Il dolore in Cure palliative e nuova classificazione del dolore cronico

Il dolore può derivare da diverse cause. Si può provare dolore a causa degli effetti diretti della malattia cancerosa, o causato dai trattamenti della malattia, secondario a chirurgia, radiazioni e chemioterapia. Il paziente può avere anche una malattia cronica sottostante che causa direttamente o contribuisce al dolore. Malattie come l’artrosi, neuropatie e l’insufficienza vascolare possono causare dolore cronico o possono esacerbare il dolore da cancro. Inoltre, in molti casi i pazienti sono affetti dal cosiddetto dolore episodico intenso, noto in letteratura come breakthrough cancer pain (BTcP), definito come un peggioramento del dolore su soggetti già in trattamento, che si verifica spontaneamente, o può essere attivato dai movimenti, dal riso, starnutendo o tossendo: in quest’ultimo caso è definito dolore incidente. In genere il BTcP è solitamente correlato a dolore osseo, invasione tumorale dei tessuti molli, in molti casi dovuto ad un inadeguato trattamento analgesico, sotto-dosaggi o intervalli troppo lunghi tra una dose e l’altra. Il BTcP può essere classificato come nocicettivo, viscerale o neuropatico, e la sua prevalenza è stimata intorno al 70-95% nei pazienti con avanzato stato della malattia cancerosa (19).
L’attuale versione della classificazione internazionale delle malattie (International Classification of Disease-ICD) dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) include alcuni codici diagnostici per le condizioni di dolore cronico, ma queste diagnosi non riflettono la reale epidemiologia del dolore cronico, né sono categorizzate in modo sistematico. Una Task Force della IASP, che comprende esperti del dolore di tutto il mondo, ha sviluppato una nuova e pragmatica classificazione del dolore cronico per l’imminente 11°revisione dell’ICD. L’obiettivo è stato pertanto di creare un sistema di classificazione applicabile alle cure primarie e in tutti contesti clinici per la gestione specialistica del dolore. Il dolore cronico è stato definito come un dolore persistente o ricorrente per più di 3 mesi. Questa definizione in base alla durata del dolore ha il vantaggio che è chiara e operativa. Di seguito si sintetizzano i contenuti principali proposti da Treede et al., (2019) (20):

  1. Sindromi da dolore cronico primario: Il dolore cronico primario è definito come dolore in uno o più regioni anatomiche che persistono o si ripresentano per più di 3 mesi ed è associato a un significativo disagio emotivo o disabilità funzionale (interferenza con le attività della vita quotidiana e partecipazione a ruoli sociali) e che non può essere meglio spiegata per un’altra condizione di dolore cronico. Questa è una nuova definizione, che si applica alle sindromi da dolore cronico che sono le migliori concepite come condizioni di salute a sé stanti;
  2. Sindromi dolorose croniche secondarie: Le sindromi dolorose croniche secondarie sono legate ad altre malattie come la causa sottostante, per la quale il dolore può essere inizialmente considerato come sintomo. I nuovi codici International Classification of Disease-11 (ICD-11) proposti diventano rilevanti come co-diagnosi, quando questo sintomo richiede specifiche cura del paziente. Questo segna la fase in cui il dolore cronico diventa un problema a sé stante. In molti casi, la cronicizzazione del dolore può continuare oltre il successo del trattamento dell’iniziale causa; in tali casi, la diagnosi del dolore rimarrà, anche dopo la diagnosi della malattia di base non è più rilevante.
  3. Il dolore cronico correlato al cancro: è definito come il dolore causato dal cancro stesso (dal tumore primitivo o da metastasi) o dal suo trattamento (chirurgia, chemioterapia e radioterapia). Il dolore è debilitante e queste sindromi dolorose croniche secondarie includono dolori neuropatici e muscolo-scheletrici.E’ frequente e debilitante del cancro, non ancora rappresentato nell’ICD. La Task Force ha deciso di elencarlo come entità separata perché ci sono specifiche linee guida per il trattamento;
  4. Dolore cronico post-chirurgico o post-traumatico: Se il dolore persiste o meno oltre il normale tempo di guarigione. Per essere coerenti con la definizione di entità madre “dolore cronico”, viene utilizzato anche il criterio temporale di 3 mesi come cut-off qui, sebbene possano essere rilevabili aspetti della cronicità precedente. Le entità diagnostiche all’interno di questa categoria sono divise a seconda che l’evento iniziale sia chirurgico o non chirurgico trauma. Il dolore post-chirurgico cronico è un ottimo candidato per programmi di prevenzione da abbinare alla consueta preparazione di un paziente per un intervento chirurgico. Il dolore post-traumatico cronico è un problema importante nei programmi di riabilitazione e reinserimento lavorativo. In entrambi i casi dolore spesso è di natura neuropatica (in media il 30% dei casi con un range dal 6% al 54% e oltre).
  5. Dolore neuropatico cronico: Il dolore neuropatico è definito come il dolore causato da una lesione o da una malattia del sistema nervoso somato-sensoriale. Questo dolore è tipicamente percepito all’interno del territorio di innervazione che è somatotopica rappresentato all’interno della struttura del sistema nervoso leso. Il dolore neuropatico può essere spontaneo o evocato da stimoli sensoriali (iperalgesia e allodinia). Il dolore neuropatico cronico è diviso in dolore neuropatico centrale cronico periferico o cronico. La diagnosi di dolore neuropatico richiede una storia di lesione del sistema nervoso, ad esempio, da un ictus, trauma nervoso o neuropatia diabetica e una distribuzione neuro-anatomicamente plausibile del dolore. Per l’identificazione di dolore neuropatico definito, è necessario dimostrare ulteriormente la lesione o malattia che coinvolge il sistema nervoso (imaging, biopsia o test neurofisiologici). I questionari possono essere utili come strumenti di screening a supporto dell’ipotesi clinica di dolore neuropatico ma non sono diagnostici: a tal proposito un questionario per la valutazione del dolore neuropatico, frequentemente usato è il DN4.
  6. Cefalea secondaria cronica o dolore orofacciale: Questa sezione è in gran parte incrociata con la classificazione del mal di testa della International Headache Society (IHS) che ha creato una classificazione specifica.
  7. Dolore viscerale secondario cronico: Il dolore viscerale secondario cronico è definito come persistente o dolore ricorrente che origina dagli organi interni della testa/regione del collo e cavità toracica, addominale e pelvica Il dolore è solitamente percepito nei tessuti somatici della parete corporea (pelle, sottocute e muscoli) nelle aree che ricevono lo stesso innervazione sensoriale come organo interno all’origine del sintomo (dolore viscerale riferito).
  8. Dolore muscoloscheletrico cronico secondario: Il dolore muscoloscheletrico cronico secondario è definito come persistente o dolore ricorrente che si manifesta direttamente come parte di un processo patologico che colpiscono ossa, articolazioni, muscoli o tessuti molli correlati. Il dolore può essere spontaneo o indotto dal movimento. Questa categoria è limitata al dolore nocicettivo e non include il dolore che può essere percepito nei tessuti muscolo-scheletrici ma non ne deriva, come il dolore da neuropatia da compressione o dolore somatico riferito.

Tali definizioni, anche se in maniera non esaustiva, e pertanto richiederebbero ulteriori approfondimenti, possono aiutare gli operatori sanitari nel processo di valutazione, in quanto le caratteristiche qualitative delle varie forme di dolore cronico possono indirizzare a comprenderne la natura e la potenziale gestione in termini farmacologici e non.

 La gestione del dolore

Secondo la legge 38 del 2010, dal titolo “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” (Gazzetta Ufficiale n. 65del19 marzo2010), secondo l’articolo 2, comma b, per terapia del dolore, si intende: “ l’insieme di interventi diagnostici  e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali,  psicologiche e riabilitative,  tra  loro  variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il  controllo del dolore. Dalla stessa normativa, nell’articolo 7 pone l’accento sull’obbligo di riportare la rilevazione del dolore all’interno della cartella clinica. In tal senso, il dolore diventa il quinto parametro vitale. Testualmente la legge al comma 1cita: “All’interno della cartella clinica, nelle sezioni medica ed infermieristica, in uso presso tutte le strutture sanitarie, devono essere riportato le caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci usati, i relativi dosaggi e il risultato antalgico conseguito”. (comma 2): “In ottemperanza alle linee guida del progetto «Ospedale senza dolore», previsto dall’accordo tra il ministro della sanità,…(omissis)…le strutture sanitarie hanno facoltà di scegliere gli strumenti più specifici, tra quelli validati, per la valutazione e la nota del dolore da riportare all’interno della cartella clinica ai sensi del comma 1”.  Sebbene i punti della legge sarebbero tutti da approfondire, si ritiene però utile focalizzare l’attenzione sui due precedenti articoli riportati in precedenza. La terapia del dolore in effetti non si avvale solo dei trattamenti finalizzati alla sua cura, ma diventa il processo orientato dalla valutazione, che si pone l’obiettivo di determinare la misurazione dell’intensità prima e dopo gli eventuali trattamenti (re-assessment), e non solo. La valutazione del dolore rappresenta un processo sostanziale nella gestione del dolore, come parte iniziale, in itinere e finale di un processo complesso, che si avvale di tecniche antalgiche attraverso i trattamenti farmacologici (o allopatici o convenzionali), non farmacologici (noti anche come non convenzionali) e interventistici (o intensivistici). Tra i trattamenti convenzionali si ricordano i FANS, gli oppiodi, adiuvanti, la radioterapia; tra quelli non convenzionali l’agopuntura, la TENS, il therapeutic touch, il reiki, l’immaginario guidato, la chiropratica, il massaggio, il tocco armonico, e tanti altri; tra quelli intensivistici la radiofrequenza pulsata, la neuro-modulazione, puntura alle sedi trigger etc. È necessario, pertanto, adottare un approccio globale e interdisciplinare per il trattamento del dolore cronico, considerando sia i trattamenti farmacologici che quelli non farmacologici. Una vasta gamma di analgesici è stata utilizzata nel trattamento del dolore cronico, ma ci sono prove inconsistenti sull’efficacia dei programmi di gestione del dolore(21). In genere anche l’uso dei trattamenti non convenzionali in qualità di trattamenti complementari ai trattamenti convenzionali possono potenziarne l’efficacia analgesica, ridurre i dosaggi dei farmaci e limitarne gli effetti collaterali. In particolare il loro uso è molto discusso, e non sempre supportate da chiare evidenze scientifiche, per limitati trial e condizioni in grado di garantire il doppio cieco. La documentazione del dolore, dei suoi trattamenti e degli esiti di questi ultimi sono parte integrante delle responsabilità degli operatori sanitari, i quali non possono essere omessi, che ricadono sulla responsabilità di chi si prende in carico l’assistito, come atto necessario alla continuità delle cure, per la valutazione della qualità delle prestazioni, nonché medico-legale in ottemperanza ad una chiara disposizione di legge. Se nessuna normativa obbliga gli operatori sanitari a misurare la pressione arteriosa, invece una chiara disposizione di legge ci obbliga a misurare e documentare il dolore.  È opportuno però sottolineare che nella gestione del dolore in cure palliative, proprio per la loro peculiarità, l’obiettivo della terapia del dolore non solo si esprime con la riduzione del dolore, ma soprattutto con la limitazione della sofferenza che il dolore e gli altri sintomi sono in grado di determinare (22).

Le barriere alla ottimale gestione del dolore

Nonostante nella maggior parte dei casi la matrice dei sintomi e l’angoscia avvertita dai pazienti con malattia in stadio avanzato possono essere prevenuti o alleviati con la massima cura, in un recente studio, che ha intervistato i familiari che avevano perso i loro cari, emerge come gli stessi si ritenevano insoddisfatti per la spiacevole esperienza vissuta dai loro congiunti negli ultimi giorni di vita (23). Tra gli esiti sensibili in CP il sollievo dal dolore e dalla sofferenza rappresentano tra le più importanti sfide assistenziali. Gli ostacoli alla gestione ottimale del dolore in cure palliative ed in particolare nel fine vita sono correlati ad una serie di fattori. È certo però che la presenza di queste barriere è stato associato a un controllo meno efficace del dolore (24). Le principali barriere possono essere cosi sintetizzate:
Paziente e famiglia
·      Negazione del dolore da parte del paziente e/o della famiglia, come un segno di deterioramento.
·      Timore che l’aumento del dolore sia correlato alla progressione della malattia.
·      Credenza dei pazienti e delle famiglie che il dolore sia una parte naturale della malattia e che non possa essere alleviato.
·      Stoicismo.
·      Fattori cognitivi e affettivi.
·      Paura di dipendenza e abuso.
Fornitori di servizi sanitari
·      Valutazione inadeguata del dolore, inclusa la sua negazione o non utilizzo di strumenti di valutazione affidabili e validi, progettati per le esigenze peculiari di specifiche classi di pazienti.
·      Falsi miti circa l’utilizzo dei farmaci oppioidi e conseguente paura di fare del male, provocando effetti avversi e/o tolleranza all’efficacia degli oppioidi.
·      Riduzionismo nel riconoscere la natura globale del dolore, inclusi gli aspetti psicologici, sociali, culturali e spirituali.
·      Paura di un effetto diversivo, legati a dipendenza e a problemi legali.
·      Incertezza prescrittiva, in quanto ci si aspetta che il prescrivente sia uno specialista in terapia del dolore o in cure palliative;
·      Esclusione a priori di una concomitante efficacia delle misure non farmacologiche da adottare insieme a quelle farmacologiche;
Sistema sanitario
·      Formule restrittive, accesso limitato agli oppioidi o costi proibitivi che impediscono un trattamento appropriato;
·      Copertura assicurativa limitata per molti trattamenti efficaci, come le terapie fisiche e occupazionali, come così come la consulenza per la salute mentale (non valevole per la realtà italiana per la presenza del Servizio Sanitario Nazionale)
·      Mancanza di disponibilità di specialisti in terapia del dolore e cure palliative, siano essi medici, che infermieri;
·      Mancanza di supporto per un’adeguata educazione al dolore e di risorse limitate.              Nello studio di Rastogi & Meek (2013) (25) sono state riportate le principali cause che limitano una efficace gestione del dolore tra la popolazione anziana istituzionalizzata in strutture di assistenza a lungo termine. Tali cause derivano da conoscenze carenti del personale infermieristico, che nello specifico era preoccupato per gli effetti collaterali del trattamento con analgesici, in particolare si temeva la potenziale dipendenza e le interazioni farmacologiche. Gli stessi, inoltre, occasionalmente diffidavano delle segnalazioni fatte dai pazienti, in quanto i segni comportamentali non erano coerenti con le informazioni verbali self-report comunicate, e pertanto gli stessi infermieri si avvalevano del proprio giudizio soggettivo dei livelli di dolore, senza tenere conto di ciò che il paziente esprimeva (26, 27).

Misurare e valutare il dolore
Il dolore da tempo è considerata un’esperienza integrata “mente-corpo” in cui la mente comprende la percezione e l’interpretazione del dolore incluse le risposte affettive, cognitive, mentre il corpo comprende percorsi del dolore, la sua elaborazione centrale e gli altri fenomeni che portano alla percezione e risposta. È impossibile, pertanto, separare la mente dal corpo quando si considera l’esperienza del dolore; tuttavia, in individui non verbalizzanti, l’esperienza del corpo-mente non può essere articolata attraverso il self-report, che rimane gold standard per la valutazione del dolore (28). Esso consente la misurazione direttamente dalla persona che vive il dolore, sebbene pone un limite di non applicabilità quando i pazienti non sono verbalizzanti. Non verbalizzare non significa non provare dolore e non soffrire, come accade nei neonati, i pazienti con deficit cognitivi, come nelle demenze, nella SLA, negli anziani, nei pazienti in coma. Nei pazienti non verbalizzanti devono essere applicate altre strategie per dedurre il dolore e valutare gli interventi antalgici. Nessuna singola strategia di valutazione, come l’interpretazione dei comportamenti, le stime del dolore da parte di altri, sono sufficienti da soli. I pazienti in cure palliative in genere non sono in grado di denunciare il proprio dolore, ponendoli ad aumentato rischio di dolore non riconosciuto e sotto-trattato. L’uso di strumenti di valutazione appropriati aumenta significativamente la probabilità di una gestione efficace del dolore e migliori risultati (29).

La valutazione del dolore nei soggetti verbalizzanti (self-report)
La valutazione del dolore è il processo in grado di determinare le caratteristiche quali-quantitative del dolore, per indirizzare il piano di trattamento. Considerando soggetti verbalizzanti, la valutazione risulta essere relativamente semplice, in particolare se l’operatore sanitario è addestrato farlo e a non influenzare le informazioni provenienti dal paziente. In genere le caratteristiche da valutare sono descritte da due modelli, che di seguito riportiamo. Si ricorda che la prima cosa da chiedere ad un paziente prima di valutare il dolore è: In questo momento ha dolore? Se la risposta è affermativa allora si procede, in caso contrario si documenterà che il paziente non ha dolore (es. VAS= 0 o NRS= 0, VRS= 0, compatibilmente con lo strumento che si adotta) Si ricorda che le domande devono essere commisurate all’età del paziente, al suo grado culturale, e alla sua capacità di comprensione. È importante rilevare non obbligatoriamente tutte le informazioni riportate dai modelli, ma quelle che si ritengono utili. Il paziente con dolore, inoltre, in molti casi non desidera eloqui lunghi, ma desidera solo che si faccia prima possibile per ridurre la sua intensità. I modelli riportati successivamente consentono una ottimale valutazione del dolore acuto, nelle riacutizzazioni, o quando si vuole valutare rapidamente il dolore cronico, senza avvalersi di scale multidimensionali.

Uno tra i modelli adottati è il OPQRSTUV, che ci ricorda le onde dell’elettrocardiogramma o il nostro alfabeto (Tabella 1). Un altro modello descritto in letteratura è il modello SOCRATES(30), come in tabella 2, che ci fa ricordare il famoso filoso greco Socrate.

Tabella 1 - Modello OPQRTSTUV

 

Un altro modello descritto in letteratura è il modello SOCRATES (30), come in tabella 2, che ci fa ricordare il famoso filoso greco Socrate.
Sebbene la cultura delle cure palliative nel nostro paese sia in crescita, la maggior parte dei pazienti muore ancora al di fuori del proprio domicilio, e molti non ricevono un adeguato controllo dei loro sintomi. Uno studio americano condotto dalla Robert Wood Johnson Foundation nel 1998, ha evidenziato che nonostante l’81% dei pazienti avesse dichiarato una chiara preferenza di poter morire in casa, ben il 56% di questi invece moriva in ospedale, ricevendo cure inadeguate nella gestione del dolore. La chiave per una buona gestione del dolore nei pazienti con malattia avanzata è una valutazione accurata e frequente. L’intero team di cure palliative può essere utile nel monitoraggio del dolore in questi pazienti, in particolare il personale infermieristico, al quale è riconosciuto una particolare sensibilità nei confronti del tema dolore. Nei pazienti che non sono in grado di riferire il loro dolore, è necessario monitorare i diversi comportamenti che potrebbero essere indicativi di dolore, come gli sbalzi d’umore, agitazione, irrequietezza e aumentata fatigue. Una frequente e completa rivalutazione (o re-assessment) da parte di infermieri formati in cure palliative può riconoscere i minimi cambiamenti di comportamento possono notevolmente migliorare la gestione dei sintomi. Dovrebbero in tal senso definiti obiettivi realistici con il paziente e con la famiglia, per comprendere anche le aspettative in merito per una efficace gestione del dolore(31).  

La valutazione del dolore nei soggetti non verbalizzanti (unable to self-report)
La valutazione del dolore nei soggetti non verbalizzanti può rappresentare, per il personale sanitario, un problema che rischia di portare ad una stima del dolore non corretta. Poiché il dolore è un’esperienza soggettiva, il self-report è solitamente considerato il gold standard. Sebbene strumenti come le scale di valutazione numerica o verbale siano appropriati per l’uso negli anziani con deficit cognitivo da lieve a moderato, possono essere di scarso aiuto in persone con disabilità cognitive gravi o avanzate(32). Le segnalazioni spontanee possono essere distorte o impossibili nelle persone con disabilità cognitive o con capacità comunicative limitate, pertanto, la valutazione del dolore nelle persone con gravi deficit cognitivi, difficoltà di comunicazione o entrambe dovrebbe includere osservazioni sul comportamento. In coloro che non possono comunicare, quindi, le dimensioni fisiologiche e comportamentali del dolore sono le più rilevanti, fungendo da base per strumenti che usano comportamenti osservabili (ad esempio smorfie facciali o irrequietezza) per valutare il dolore, a volte integrati da indicatori fisiologici come i segni vitali che sono usati come spunti per una valutazione più approfondita. Identificare gli strumenti di valutazione del dolore più appropriati basati sul comportamento per l’uso in pazienti con deficit comunicativi in qualsiasi setting di cure palliative migliora significativamente la probabilità di una gestione efficace del dolore e migliora i risultati correlati al dolore.Sebbene l’espressione facciale sia la più sensibile risposta comportamentale specifica al dolore e può essere un indicatore affidabile per il rilevamento del dolore, i movimenti del corpo sono stati identificati negli anziani con una comunicazione limitata, come indicatori chiave per la valutazione del dolore.

Da una recente revisione della letteratura, emergono numerosi strumenti di tipo comportamentale che possono essere utilizzati per la valutazione del dolore nel paziente non verbalizzante. La Pain Assessment in Advanced Dementia (PAINAD),la Behavioral Pain Scale (BPS), la Checklist of Non-verbal Pain Indicators (CNPI), la Critical Care Pain Observation Tool (CPOT), la Face, Legs, Activity, Cry, and Consolability (FLACC) Pain Tool, il Multidimensional Observational Pain Assessment Tool (MOPAT), la Non-Verbal Pain Scale (NVPS), il Nociceptive Coma Scale (NCS). Nessuno degli strumenti qui descritti risulta però specifico per l’ambitodelle cure palliative (29).

Come aiuto al processo di valutazione, sono stati sviluppati vari strumenti quali:

  • Memorial Symptom Assessment Scale (MSAS) (33),
  • The Edmonton Symptom Assessment System (ESAS) (34),
  • The McGill Pain Questionnaire (MPQ) (35)
  • The Brief Pain Inventory (BPI) (36).

Conclusioni

La valutazione dolore nelle cure palliative è un aspetto della gestione del sintomo, che seppur di competenza diretta del medico e dell’infermiere in termini clinici, coinvolge l’intera equipe assistenziale. La multidimensionalità del dolore, infatti, richiede la valutazione degli effetti del sintomo sulla dimensione fisica, psicologica, sociale e spirituale della persona malata. Il gold standard prevede che la valutazione venga fatta ad intervalli regolari durante la giornata, tutte le volte che la persona malata riferisca dolore e dopo un intervallo di tempo prestabilito dal trattamento farmacologico dell’episodio doloroso. Gli strumenti per la valutazione del dolore citati in questa breve rassegna possono essere utilizzati in qualunque setting di cure, sia esso residenziale che domiciliare. I setting di cura influenzano il processo di gestione del dolore, relativamente alla fase di assessment e trattamento. Nel setting residenziale con assistenza sanitaria a ciclo continuo, l’equipe curante ha costantemente il governo della valutazione e del trattamento del dolore. Al domicilio sarà indispensabile il coinvolgimento del caregiver, attraverso il potenziamento dell’empowerment. L’agire infermieristico, pertanto, non sarà limitato alla valutazione diretta del dolore nella persona malata, ma si estenderà alla funzione educativa del caregiver, integrerà la valutazione del dolore fatta dai sanitari. Gli strumenti di valutazione del dolore citati in questo lavoro, seppur non descritti dettagliatamente, forniscono il cruscotto della strumentazione necessaria che deve essere patrimonio di conoscenza e applicazione comune per i sanitari. Gli strumenti di valutazione, tuttavia, non devono far perdere di vista la soggettività della sofferenza della persona, pertanto occorrerà sempre che i curanti contestualizzino l’esperienza dolorosa e la riconducano al vissuto della persona malata, onde evitare il rischio della omologazione dei casi clinici (37).

 

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