Le espressioni del volto veicolano informazioni importanti nella comunicazione interpersonale di emozioni ed intenti. Varie ricerche sono state dedicate allo studio dell’affidabilità, percepita dagli osservatori, delle segnalazioni ed espressioni di dolore da parte dei pazienti. Queste espressioni sarebbero spesso accolte con scetticismo e gli osservatori tenderebbero a sottovalutare il dolore dei pazienti. I meccanismi alla base di questi pregiudizi non sono ancora del tutto chiari e di questo si sono interessati gli autori dello studio, per indagare l’interazione tra la valenza emotiva dell’espressione di uno sconosciuto e il giudizio di affidabilità dato dall’osservatore.
In due studi separati, gli autori del lavoro che segnaliamo (Van der Biest M, Cracco E, Riva P, Valentini E. Should I trust you? Investigating trustworthiness judgements of painful facial expressions. Acta Psychol (Amst). 2023 May;235:103893) hanno misurato i giudizi di affidabilità di quattro diverse espressioni facciali (neutrale, felice, addolorata e disgustata), mostrate da volti generati dal computer e da volti reali.
Come spiegano gli autori, citando l’ampia letteratura al riguardo, in generale ci si forma rapidamente un’impressione sugli estranei assegnando loro tratti che assomigliano alla loro espressione emotiva, un processo etichettato come ipergeneralizzazione delle emozioni e l’ipergeneralizzazione delle espressioni facciali emotive può sottendere un precoce bias percettivo esercitato dai segnali emotivi facciali del paziente sul processo di valutazione cognitiva del clinico.
Gli autori hanno ipotizzato che le espressioni facciali di dolore (come il disgusto) sarebbero state giudicate più inaffidabili rispetto alle espressioni di felicità e hanno elaborato una articolata metodica di studio di cui, pragmaticamente, citiamo i risultati che hanno confermato l’ipotesi di partenza: quando si giudicano le espressioni facciali degli estranei entrambe le espressioni negative (dolore, disgusto) sono percepite come più inaffidabili rispetto alle espressioni felici.
C’è da riflettere, quindi, visto che le espressioni facciali del dolore sono un fenomeno universale che può essere osservato sia negli esseri umani che negli animali e sono comunque una misura valida del dolore con importanti implicazioni per la valutazione e la gestione del dolore, in particolare nei soggetti che non sono in grado di comunicarlo verbalmente, nei neonati e nei bambini piccoli, negli adulti che non sono in grado di comunicarlo a causa di deficit cognitivi o comunicativi.
L’espressione facciale del dolore nell’uomo, per esempio, è caratterizzata da abbassamento delle sopracciglia, strizzamento degli occhi, corrugamento del naso, innalzamento del labbro superiore e dal serrare la mascella.
Queste espressioni sono involontarie e sono il risultato dell’attivazione della matrice del dolore nel cervello.
I progressi tecnologici hanno portato anche allo sviluppo di sistemi automatizzati per rilevare le espressioni facciali del dolore; uno studio, per esempio, ha sviluppato un modello di previsione dell’intensità del dolore utilizzando la tecnologia di riconoscimento delle espressioni facciali per garantire una valutazione accurata del dolore nei pazienti che non sono in grado di auto-riportarlo (1). Ma non va sottovalutata l’esperienza e la sensibilità clinica «Il tentativo di analizzare in termini quantitativi, statistici e “oggettivi” ciò che in genere sfugge alla descrizione perché più soggettivo, qualitativo e interno è sempre molto interessante e istruttivo – ci spiega il dottor Maurizio Albertini, psichiatra presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale di Imperia -. Non bisogna però dimenticare che cercare di definire la correlazione psicosomatica fra l’esterno (corpo) e un fattore interno (emozione, sensazione, dolore) non è semplice e si rischia di cercare di afferrare il fumo (psiche) con le mani (strumenti matematici o digitali, razionali). La psiche, l’emozione, il dolore e i loro correlati cioè l’espressione del volto, il linguaggio del corpo, il tono della voce, la mimica insomma, richiedono a mio parere anche una qualità di ascolto più sottile, più empatica, più intuitiva (nel senso etimologico del termine in-tueri, osservare dentro). Non bastano le statistiche, l’intelligenza artificiale, i volti ricostruiti digitalmente, le scale di valutazione. La donna ancora non educata dal nostro razionalismo occidentale “sentiva” il dolore e l’emozione del neonato anche se era nella stanza accanto e non faceva rumore, e questo non si può misurare né quantificare in nessun modo. Avendo avuto esperienza diretta di questo fenomeno posso dire che il tentativo ammirevole e interessante di arrivare a una definizione “oggettivamente scientifica” deve fare i conti con un orizzonte degli eventi psichico e qualitativo mai del tutto misurabile, imponderabile, che è più nel campo oscuro dell’inconscio e del dionisiaco che in quello della ragione e dell’apollineo con la sua chiarezza solare.»
Resta chiaro un messaggio da tenere bene a mente nella pratica quotidiana di cura: il giudizio degli operatori sanitari e dei clinici sulle espressioni facciali può avere serie implicazioni nel trattamento del dolore, poiché la loro valutazione della condizione di un paziente può essere compromessa dall’incredulità, dalla mancanza di empatia e fiducia nelle espressioni di dolore del paziente. La consapevolezza di questi bias percettivi è quindi importante.
Per approfondire:
Van der Biest M, Cracco E, Riva P, Valentini E. Should I trust you? Investigating trustworthiness judgements of painful facial expressions. Acta Psychol (Amst). 2023 May;235:103893. doi: 10.1016/j.actpsy.2023.103893. Epub 2023 Mar 24. PMID: 36966639.
(1) Mieronkoski R, Syrjälä E, Jiang M, Rahmani A, Pahikkala T, Liljeberg P, Salanterä S. Developing a pain intensity prediction model using facial expression: A feasibility study with electromyography. PLoS One. 2020 Jul 9;15(7):e0235545. doi: 10.1371/journal.pone.0235545. PMID: 32645045; PMCID: PMC7347182.