Introduzione
Il sensibile aumento della vita media che si è realizzato a partire dalla seconda metà del secolo scorso, parallelamente ad un progressivo incremento delle patologie cronico-degenerative e della disabilità, ha sensibilmente modificato lo scenario demografico ed epidemiologico, comportando importanti risvolti in ambito sociale, sanitario ed economico (1). Dalla seconda metà del secolo scorso, infatti, si è assistito alla crescita di una nuova categoria di pazienti cosiddetti “fragili”, tipicamente caratterizzati da comorbidità e politrattamenti che condizionano negativamente la qualità di vita e l’adesione alle terapie. In essi si ravvisa un aumentato rischio di interazioni e di reazioni avverse, così come un incremento dei costi socio-sanitari (2). La “fragilità” impone un approccio personalizzato alla terapia antalgica, così come un rapporto umano stretto con il paziente, stante le implicazioni psicologiche sempre presenti. Si calcola che circa il 20% della popolazione adulta soffra di dolore cronico; le conseguenze del dolore cronico non trattato nella popolazione “fragile” sono numerose: depressione, ansia, difficoltà socio-relazionali, disturbi del sonno, aumento della disabilità che peggiorano, spesso in modo irreversibile, lo stato funzionale e la qualità di vita di questi pazienti (3).
Descrizione caso clinico
A causa di una sintomatologia dolorosa addominale ricorrente è giunta alla nostra osservazione, presso l’ambulatorio di Terapia del Dolore, una donna di 61 anni affetta da RCU di grado severo, secondo valutazione di Truelove-Witts.
La rettocolite ulcerosa (RCU) è una malattia infiammatoria cronica idiopatica dell’intestino caratterizzata da una diffusa ed intensa flogosi della mucosa rettocolica, con impegno solo marginale della sottomucosa, mentre gli strati muscolari, la sierosa ed i linfonodi non sono generalmente interessati. Si può presentare con un’attività e una sintomatologia da lievi a severe. La RCU può essere localizzata al solo retto o può estendersi in senso prossimale, in modo simmetrico e continuo e coinvolgere la parte sinistra del colon o l’intero colon, senza che vi siano aree intermedie di mucosa risparmiate dalla malattia. La sintomatologia è dominata dalla modificazione dell’alvo in senso diarroico con feci non formate miste a secrezioni muco-ematiche e dolore addominale. La localizzazione del dolore addominale dipende dall’estensione della malattia: è presente in fossa iliaca sinistra quando il coinvolgimento infiammatorio è distale, mentre si presenta diffuso se si tratta di pancolite. Nelle forme più severe possono associarsi sintomi sistemici quali calo ponderale, febbricola, anemizzazione e manifestazioni extraintestinali.
Il decorso clinico è caratterizzato da alternanza di periodi di remissione clinica e di periodi di acuzie e la complicanza più grave è rappresentata dal megacolon tossico. Ancora oggi, la definizione di colite ulcerosa severa più utilizzata nella pratica clinica è quella descritta da Truelove e Witts circa 50 anni fa, che implica la presenza di 6 o più scariche di diarrea con muco e sangue e la presenza di almeno uno dei seguenti segni sistemici: febbre (TC >37,8°C), tachicardia (FC>90/min),
anemia (Hb>10,5g/dl) e aumento degli indici di flogosi (VES>30mm/h ) (4).
Storia clinica
La paziente era in trattamento con Adalimumab 40 mg SC/settimana da sette mesi, senza miglioramento della patologia di base. La paziente assumeva, inoltre, Ferrogradfolic, per l’anemia sideropenica secondaria e probiotici.
Le comorbidità associate in trattamento erano Diabete Mellito di tipo II (Metformina 1g x2/die e Repaglinide 0.5gx2/die), ipertensione arteriosa cronica (Moexipril 15mg +Idroclorotiazide 25mg, Carvedilolo 6,25mg/die), ipotiroidismo (Levotiroxina 100mcg/die), talassemia minor, asma bronchiale (Beclometasone + Formoterolo 2 puff/die). La paziente riferiva allergia ai salicilati, pregresso intervento chirurgico di mastectomia radicale sinistra con linfoadenectomia ascellare omolaterale per carcinoma duttale (T3N1M0) che, rispettivamente, hanno controindicato l’impiego della Mesalazina e della Azatioprina come prima e seconda scelta nella terapia della RCU.
Segni e sintomi
La paziente lamentava dolore addominale diffuso (NRS score= 6/7), tachicardia (f.c.= 108 bpm), presenza di sei o più scariche diarroiche con muco e sangue/die. Nel corso dei precedenti episodi di riattivazione della RCU il dolore associato (NRS score=6/7) è stato trattato con Paracetamolo (1gx3/die per 5 giorni) e Prednisone (25mg/die terapia scalare) che ha scatenato l’insorgenza di una crisi iperglicemica e la necessità di ricovero.
Esami di laboratorio e strumentali
La paziente ha portato alla nostra attenzione gli ultimi esami colturali e parassitologici delle feci, una colonscopia distale con biopsie multiple ed esami istologici, RX diretta dell’addome (per escludere la presenza di un megacolon tossico) ed esami ematici completi.
Risultati
La scelta della terapia antalgica è stata condizionata dal minimo beneficio dopo assunzione di Paracetamolo, dalla controindicazione all’utilizzo dei FANS in pazienti con storia di ulcere e sanguinamenti gastrointestinali, dall’allergia ai salicilati, dai potenziali effetti caso-specifici dei farmaci oppiacei a lento rilascio (megacolon tossico correlato alla stipsi severa, per cui vi era evidente predisposizione). Allo scopo di minimizzare i potenziali effetti avversi della terapia antalgica, la scelta è caduta sull’associazione Tramadolo/Paracetamolo (37,5mg + 325mg x 2/die), con un intervallo tra le dosi volutamente ampio, nel tentativo di raggiungere una sufficiente analgesia, ma con alcune ore di “libertà” dei recettori oppioidi dagli oppiacei a livello del plesso mioenterico. Il tramadolo, peraltro, ha metabolismo epatico ed escrezione renale, funzioni quest’ultime conservate nella paziente. Durante il follow-up la paziente ha registrato sul diario glicemico quotidiano la VAS, mantenutasi sempre tra 0 e 1, e non si sono manifestati effetti collaterali e/o interazioni farmacologiche degni di nota.
Il paracetamolo è tuttora considerato l’analgesico di scelta per tollerabilità e maneggevolezza soprattutto nei pazienti con dolore non neoplastico. Presenta epatotossicità solo per dosi superiori a 4 mg/die. Il tramadolo ha azione centrale con proprietà agoniste sui recettori degli oppioidi (agonista puro non selettivo dei recettori della morfina μ, δ e κ con una maggiore affinità per irecettori μ) e con effetti sulla neurotrasmissione noradrenergica e serotoninergica. Paragonato ad altri agonisti oppioidi quali la morfina, esso sembra avere una minore incidenza di depressione cardiorespiratoria ed un più basso potenziale di dipendenza. Il tramadolo ha dimostrato di possedere una buona efficacia analgesica sul dolore di origine più varia. La durata media dell’effetto analgesico è di circa 6 ore dopo ogni singola dose, l’onset time si situa nella larga maggioranza dei pazienti tra i 10 e i 20 minuti. La potenza del tramadolo è circa 1/6 di quella della morfina. A differenza di quest’ultima, però, in un ampio intervallo posologico, il tramadolo non ha alcun effetto depressivo sulla respirazione, né modifica in alcun modo la motilità gastro-intestinale (5).
Commento
Il caso clinico presentato evidenzia la necessità di una terapia antalgica personalizzata che tenga conto dei meccanismi patogenetici del dolore, senza trascurare le problematiche cliniche della paziente. La pianificazione del trattamento specifico avviene quindi sulla base della scelta razionale dei farmaci che, laddove possibile, dovrebbero tenere conto di quanto già assunto precedentemente e rappresentati, quando possibile, da associazioni di molecole con azione modulatoria, come tramadolo/paracetamolo, dotate di sinergismo e potenziamento dell’effetto analgesico. In alcuni casi, come quello presentato, anche farmaci con azione farmacodinamica teoricamente non prolungata possono essere sufficienti a gestire la sintomatologia, permettendo di evitare inutili sovradosaggi.
Considerando il dolore come l’indicatore di qualità delle cure, diventa necessaria l’attuazione di terapie specifiche per la rilevazione ed il trattamento del dolore stesso, mantenendo la centralità del paziente come unico attore in grado di riferire sulla propria percezione del dolore.
Bibliografia
1. Istat. Previsioni demografiche 1° gennaio 2007-1° gennaio 2051. Collana Nota informativa, 2008. www.istat.it
2. Fried LP, Tangen CM, Walston J, Newman AB, Hirsch C,Gottdiener J, et al. Frailty in older adults: evidence for aphenotype. J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2001;56:146-56.
3. Fusco F., Doneli E., Silvestro S. Long-term chronic paintreatment with opiates in very old people. G. Gerontol. 2007;55:733-7.
4. Hendrickson B., Gokhale R.,Cho J.H. Clinical Aspects and Pathophysiology of Inflammatory Bowel Disease. Clin Microbiol Rev 2002:15(1):79–94.
5. McClellan K, Scott LJ. Tramadol/paracetamol. Drugs 2003;63:1079-86.