Introduzione
I professionisti della salute che si occupano del “prendersi cura” veicolano la relazione di aiuto con gli altri attraverso uno strumento e un filtro che è il corpo. I quattro diversi livelli di cui si compone il corpo dell’uomo, fisiologico, psicologico, sociale e spirituale, si intersecano tra di loro in relazione alle variabili associate alla storia personale di ognuno, che può a volte predominare sugli altri.
L’uomo è una entità corporea e psichica aperta alla relazione, pertanto deve continuamente salvaguardare, armonizzare e integrare tutti i suoi vari aspetti per tendere all’equilibrio (1). Inoltre, esso è mediatore dello spirito ed è attraverso l’azione corporea che quest’ultimo si esprime, favorendo nell’uomo la conoscenza del sé, degli altri e del mondo (2). La malattia, che tende a disarmonizzare l’equilibrio delle entità che compongono l’uomo, porta la persona a confrontarsi continuamente con i valori personali e sociali e dunque anche con le immagini ideali di corporeità rispetto alla propria cultura di appartenenza (3). Quindi la malattia può essere rappresentata come una vera e propria ″rottura biografica″ (4), dove la medicina tradizionale, occidentale, di fatto sembra non curarsi della dimensione psicosociale dell’esperienza di malattia (Illness versus Disease), con forti conseguenze in termini di adesione ai trattamenti, ma soprattutto per una effettiva presa in carico globale del paziente in un’ottica di care.
Come sostiene Ian McWhinney, la medicina mostra una sostanziale negazione della componente emotiva legata al ″corpo vissuto″ del paziente, ricorrendo a una oggettività che tiene a debita distanza la soggettività dello stesso (5). Inoltre il corpo e la corporeità (embodiment) sono concetti saldamente radicati nella pratica infermieristica, finalizzata a generare forme più olistiche e complesse di comprensione dei pazienti come soggetti e destinatari delle nostre cure (6).
Per cogliere quest’esperienza, che è l’esperienza di un corpo che parla di sé, oltre che le parole stesse, è necessaria una medicina che non si proponga di spiegare fatti, ma di comprendere il significato che si cela dietro di essi perché, come afferma Galimberti, ″…il fatto non è in grado di esprimere da sé il suo significato…” (7).
Comprendere l’esperienza di malattia è un processo che va al di là della semplice elaborazione di informazioni, a partire da un determinato quadro sintomatologico, che può risultare riduzionista rispetto all’uomo nella sua complessità (8).