La figura dell’Advanced Practice Nurse: una realtà solo internazionale?

La figura dell’Advanced Practice Nurse (APN) è stata introdotta e attualmente regolamentata dalle Guidelines On Advanced Practice Nursing 2020 al fine di affrontare le moderne problematiche sanitarie e garantire una sanità di qualità, sicura e dai costi contenuti.

L’APN viene definito come “un infermiere generalista o specializzato che ha acquisito, attraverso una formazione universitaria avanzata, una base di conoscenze a livello di esperto, capacità di prendere decisioni complesse e competenze cliniche per esercitare una pratica avanzata. Le caratteristiche di questa figura dipendono dal contesto e/o dal paese in cui è abilitata ad esercitare” (1).

La formazione di tale professionista richiede il possesso di un master specifico (master’s degree) e dai seguenti elementi core: capacità di leadership, capacità di integrare proprie abilità con competenze acquisite e di ricerca, capacità di giudizio, di presa di decisioni, abilità e conoscenze avanzate. Tali competenze, inoltre, devono essere definite, misurabili e periodicamente riesaminate (2).

Nell’ambito della pratica clinica, l’APN si occupa di prevenzione, riabilitazione, gestione e coordinamento di assistenza di pazienti complessi, capacità di integrazione di ricerca, formazione, leadership e gestione clinica, capacità di giudizio, di presa di decisioni e abilità di ragionamento diagnostico, capacità di pianificare, coordinare, implementare e valutare azioni per migliorare i servizi sanitari a livello avanzato (2).

L’APN si può distinguere in due macrocategorie: Clinical nurse specialist (CNS): si tratta di un infermiere dotato di conoscenze e abilità avanzate, capace di prendere decisioni complesse e di utilizzare un approccio sistemico nella gestione di un caso clinico; Nurse practitioner (NP), invece, è un infermiere che, dopo un percorso formativo avanzato, diviene un infermiere clinico autonomo (2).

In Italia, gli infermieri hanno ottenuto la possibilità di intraprendere una carriera orizzontale solo grazie al CCNL 2016-2018, che ha introdotto i ruoli di professionista esperto e specialista con competenze avanzate tramite percorsi formativi regionali o master universitari. Tali figure sono più simili a un infermiere specialista (CNS) rispetto a un infermiere con competenze avanzate (NP). Nonostante il master in cure palliative e terapia del dolore sia previsto nella formazione infermieristica italiana, come fra altro previsto dalla Legge 38/2010, esso non è un titolo abilitante come accade sul panorama internazionale e la Laurea Magistrale non fornisce ad oggi percorsi clinici avanzati in tal senso. Inoltre, il professionista esperto e specialista possiede delle competenze su uno specifico settore (3). Infatti, in altri tredici paesi europei è presente il ruolo dell’infermiere con competenze avanzate secondo il modello presentato dall’ICN (4).

Ad esempio, negli USA, oltre a un master’s degree, è consigliabile che il NP abbia anche un dottorato clinico – Doctor in Nursing Practice  (DNP). Il NP, con alcune differenze nei vari Paesi, può occuparsi di prescrivere esami, farmaci e trattamenti; diagnosticare e gestire il trattamento, ricoverare (2). L’infermiere è responsabile, inoltre, all’interno dell’équipe multidisciplinare, della gestione del dolore del paziente.

Il progresso della pratica è un processo di sviluppo continuo che implica il perfezionamento di conoscenze e abilità per fornire come processo di sviluppo professionale continuo che utilizza la ricerca, l’ulteriore formazione, la leadership e la pratica clinica, che culminano un professionista capace di sfidare e cambiare i confini della professione confini, raggiungere la maturità professionale e raggiungere livelli più elevati di autonomia. In alcuni Paesi un infermiere che ha conseguito il master in pratica avanzata può accedere al dottorato in infermiere di anestesia (Doctor of Nurse Anesthesia Practice), figura difficilmente contestualizzabile in Italia, con almeno 8 anni di formazione accademica.

Gli esiti correlati all’assistenza sono quegli esiti che derivano dal coinvolgimento dei professionisti di pratica avanzata nell’assistenza o da un loro intervento. Studi che valutano l’impatto che essa ha su indici quantitativi come valori di laboratorio, valori fisiologici come aumento di peso, sintomi clinici come dispnea o dolore, controllato dal paziente, uso dell’analgesia, e formazione del paziente, migliorandone qualità percepita da parte del paziente stesso (5). La gestione di alcuni sintomi, tra cui il dolore, e il dolore cronico, è ritenuto come un Outcomes for Advanced Practice Nursing ma soprattutto tra le Fundamental care (6).

Questa sintesi vuole solo descrivere in maniera molto breve la potenzialità d questa figura, che in Italia è realtà solo di alcune poche strutture sanitarie. Di seguito l’intervista alla collega Carmela Ricciardi di ISMETT di Palermo, una delle poche colleghe che svolge funzioni di pratica avanzata nella gestione del dolore.

Intervista

Parlami in breve di te, Carmen
Sono palermitana, sposata, ho due figli e sono un’infermiera dal 1992. Per 10 anni ho lavorato in una clinica convenzionata polichirurgica, in seguito ho lavorato 5 anni circa in un’altra clinica convenzionata polichirurgica e medica; dal 2007 a oggi lavoro all’ISMETT di Palermo che da qualche anno è IRCCS, Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico.

Quali funzioni hai all’ISMETT?
Quando sono arrivata ho lavorato circa 5 anni come strumentista di sala operatoria, poi, per un mio problema di salute, sono stata destinata ad altro e mi occupo di pain management, sono l’infermiera responsabile del Servizio di Terapia del Dolore.

Spiega meglio cosa fai
Il nostro Istituto gestisce per la maggior parte dei casi pazienti chirurgici, quindi il mio lavoro è quello di valutare l’efficacia della terapia antalgica prescritta al paziente nel post-operatorio.

Come hai iniziato?
Quando è nato l’ISMETT sono nate all’interno dell’ospedale tantissime figure professionali non previste nelle strutture sanitarie italiane, ereditate dall’organizzazione sanitaria americana: charge, coordinatore trapianti, nurse educator, tutte figure con delle competenze specifiche per gestire la vita dei pazienti e anche del personale sanitario durante le attività cliniche. Ma la gestione del dolore era relegata solo agli anestesisti o ai chirurghi, gestione che prevedeva solo la somministrazione di analgesici esclusivamente su richiesta del paziente al bisogno. Oggi non è più così. Inizialmente ho studiato tantissimo: farmacologia, pain management, ho cercato tanta letteratura, ho cercato modelli nazionali ed internazionali e ancora oggi faccio di tutto per restare aggiornata, frequentando anche corsi all’estero.

Quindi avete creato un nuovo servizio. Quale formazione offrite ai colleghi?
Sì, abbiamo creato un Acute Pain Service formato dall’anestesista con competenze specifiche  in pain management, da me e da tutto il gruppo di fisioterapisti. L’attività di riabilitazione del paziente, infatti, dipende tantissimo dalle condizioni dolorose dello stesso: se ha dolore non si muove, non respira bene e non tossisce, funzioni fondamentali per una buona guarigione senza complicanze.
Per due anni abbiamo fatto corsi di formazione della durata id 6 ore per un max di 10 persone due volte alla settimana, dando così a tutto il personale la possibilità di avvicinarsi a questo mondo. Abbiamo fatto in modo che i gruppi non fossero omogenei e quindi non tutti della stessa professione, in modo che le posizioni differenti raccontassero un’esperienza diversa e si imparasse a gestire il problema in team. Grazie al lavoro in team abbiamo lavorato insieme per definire i  protocolli di analgesia per tutti i pazienti.

E cosa fai nello specifico?
Io regolarmente ogni mattina consulto il registro di sala operatoria, annoto i nomi dei pazienti operati il giorno prima o il weekend precedente (se è lunedì), leggo i singoli interventi chirurgici, fondamentale per capire se ci sono stati problemi particolari durante l’offesa chirurgica (se ha sanguinato per esempio). Come secondo step consulto la cartella informatizzata dei singoli pazienti e leggo la storia pregressa di ciascuno, essenziale per conoscere comorbilità o allergie. Infine leggo la pagina delle prescrizioni per capire il tipo di analgesia che è stata prescritta per prevenire il dolore nel post-chirurgico e lo appunto.
Quindi, mi reco al letto del singolo paziente in elenco e ne valuto il dolore, se ha dolore a riposo o sotto forzo facendolo tossire e muovere, il tutto per testare l’efficacia della terapia prescritta. Cerco sempre di fare una piccola formazione sulla validità di una buona analgesia al paziente stesso, affinché sia chiaro che un buon controllo del dolore nel post-operatorio è fondamentale per prevenire le complicanze respiratorie e motorie. Qualora ci fosse la necessità di ottimizzare la terapia antalgica di base, contatto il medico di riferimento o di guardia e chiedo delle modifiche di prescrizione analgesica. Seguo regolarmente il paziente almeno per tre giorni dopo l’intervento.

Ma tu che margini di autonomia hai nella tua attività quotidiana?
Noi infermieri, in Italia, non abbiamo l’autorizzazione alla prescrizione di farmaci. Ho fatto tanta fatica affinché la mia figura venisse accolta come esperta di dolore e dopo 12 anni una buona parte di chirurghi mi chiama per impostare insieme il regime analgesico, qualcun altro si lascia consigliare totalmente convenendo con le mie indicazioni, il più delle volte riesco a raggiungere un consenso per il miglioramento della gestione del dolore proponendo combinazioni di farmaci  e dosaggi. Ho l’autonomia, con il mio direttore infermieristico di organizzare eventi di formazione per medici, infermieri e fisioterapisti, con un buon riscontro sia in termini partecipazione che di gradimento.
Mi occupo anche di monitorare la documentazione del parametro vitale “dolore” in cartella, affinché ci sia anche un riscontro oggettivo, che possa rafforzare la necessità di una eventuale sensibilizzazione a livello aziendale. Spesso i numeri aiutano a rilevare la presenza di un problema che porta alla gestione della formazione specifica per un fabbisogno mirato.
Inoltre mi occupo di formare tutto il nuovo personale infermieristico che viene assunto in ISMETT per quanto riguarda la gestione del dolore. Infatti è in programma, nel periodo di affiancamento  durante l’orientamento generale, un mio corso di 6 ore, durante il quale condivido nozioni sul pain management, sulla legge 30, 15 marzo 2010, sugli analgesici più comuni dettagliando dosaggi e vie di somministrazione con relativi effetti benefici e collaterali, inoltre cerco di dare una base etica che possa sensibilizzare ciascuno in maniera  proattiva.
La mia attività mi porta a collaborare con l’Ufficio Qualità, con il Servizio di Infection Control e con tutto il gruppo della formazione di cui io faccio parte.
C’è ancora tanto da fare, bisogna essere sempre in allerta in quei momenti in cui si pensa che stia andando tutto benissimo, e vorrei che tale esperienza ossa replicarsi anche nelle strutture pubbliche, ove operano altri colleghi di alto profilo, che possono essere chiave nella gestione ottimale del dolore e a dare sollievo a chi soffre anche in silenzio”.

Conclusioni

La realtà di questa figura è patrimonio solo di pochissime strutture sanitarie in Italia, ma la formazione in tal senso, oggi in particolare quella accademica, non abilita alle competenze avanzate nella gestione del dolore. Sarebbe utile capire anche quale società scientifica in Italia possa fare questo oltre all’Ordine delle Professioni Infermieristiche. Ci si auspica che la competenza clinica avanzata sia presto realtà, non solo per rispondere ad un bisogno di salute e un diritto a non soffrire, ma anche per una necessaria progressione di carriera clinica degli infermieri, per avere riconosciuto un ruolo avanzato pariteticamente a quanto accade negli altri Paesi europei e nel mondo.

Bibliografia

  1. International Council of Nurses. Guidelines On Advanced Practice Nursing 2020. Copyright © 2020 by ICN – International Council of Nurses, 3, place Jean-Marteau, 1201 Geneva, Switzerland.
    2. Monguzzi B., L’infermiere con competenze avanzate: dal framework ICN alla situazione italiana, Italian Journal of Nursing, n. 34/2020.disponibile su: https://italianjournalofnursing.it/linfermiere-con-competenze-avanzate-dal-framework-icn-alla-situazione-italiana/. Accesso il 19.10.2023.
    3. Lovicu E, Bizzalia G, Galletti C. Le competenze distintive del laureato magistrale in scienze infermieristiche e ostetriche in italia: survey con il metodo del phi. Rivista L’Infermiere N° 4 – 2018
  2. De Caro W. Competenze infermieristiche avanzate: se non ora quando? Professioni Infermieristiche 2019;72(3):164-64.
  3. Kleinpell RM. Outcome Assessment in Advanced Practice Nursing, Third Edition, Springer, 2011
  4. Ryder M, Kitson A L, Slotnes O’Brien T, & Timmins F. Advancing nursing practice through fundamental care delivery. Journal of Nursing Management, 2022;30(3), 601–603. https://doi.org/10.1111/jonm.13402

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Come citare l’articolo: Ricciardi C, Ciancotti C, Latina R. La figura dell’Advanced Practice Nurse: una realtà solo internazionale? Pain Nursing Magazine 2023;12(3):36-39