Dal 1880 al 1883, cioè agli esordi della sua produzione artistica, Van Gogh eseguì numerosissimi lavori, realizzati con ogni tecnica: matita, carboncino, gessetti, inchiostri, acquerello. Il tema era sempre lo stesso: il mondo che aveva a portata di mano e di sensibilità. Le persone erano sempre gente del popolo, ritratte nelle quotidiane fatiche del lavoro manuale e nelle solite mansioni domestiche: pulire, accendere il focolare, rammendare, cucire, sbucciare patate, lucidare scarpe, mangiare, leggere, pregare. E nelle posture più diverse: in piedi, sedute, piegate, accovacciate, distese.
Alcuni modelli ricorrono frequentemente, a rappresentare sé stessi o, più spesso, utilizzati per prove d’autore; per esempio gli anziani signori Cornelis Schuitemaker e Adrianus Jacobus Zuijderland.
Del primo si hanno notizie dagli archivi della provincia del Brabante, in Vallonia, Belgio, dove è descritto come contadino di Etten insieme alla sua famiglia, e modello di Van Gogh (1). Ma non ho trovato il suo volto da nessuna parte.
L’altro signore fu scoperto da tale Visser (2) che partendo da un numero scritto su una sua giacchetta lo identificò come il 72enne Adrianus Jacob Zuijderland, ospite presso la casa di riposo della Chiesa Riformata Olandese dell’Aja, chiamato – come tutti quelli dell’ospizio – “uomo orfano”: “I’m also working on one of a church pew that I saw in a small church in the Geest district where the almsmen go (they’re known here very expressively as orphan men and orphan women).” (3)
Van Gogh racconta del suo modello fin dalle prime sedute (4): “Dunque sto lavorando ora a due grosse teste di anziano uomo d’ospizio, con la sua folta barba e il suo cappello a cilindro fuori moda. Il vecchietto ha quel genere di faccia raggrinzita e arguta che ci si aspetta uno debba avere accanto a un bel fuocherello a Natale”. Ne descrive spesso (almeno nove citazioni nelle lettere) l’affetto che gli porta insieme all’attrazione estetica per la sua figura, giudicata giusta per le sue ricerche. Zuijderland diventò in quel periodo il modello fisso di Van Gogh, utilizzato dovunque, per ogni situazione. Con lui l’artista realizzò la serie degli uomini dell’ospizio, e poi, nel 1883, rivestito con qualche indumento adatto, la serie dei vecchi lupi di mare (5): “Tomorrow I get a sou’wester for the heads. Heads of fishermen, old and young, that’s what I have been thinking of for a long time, and I have made one already, then afterward I couldn’t get a sou’wester.” Oltre a numerosissimi studi della persona e delle posture del corpo. Nel novembre 1882 Van Gogh compose Worn out (Sfinimento), utilizzando come modello Cornelius Schuitemaker. Da principio disegnò la figura seduta tra il focolare acceso e la vanga appoggiata al muro, come quella di un vecchio uomo stanco, alla fine di una dura giornata di lavoro. Poi ne accentuò il profilo, con i gomiti sulle cosce e la testa tra le mani con le dita serrate. Infine tolse la vanga dal fondo del disegno, e la stanchezza diventò soprattutto sofferenza dell’anima.m
Successivamente Van Gogh ne fece una versione con Adrianus Jacobus Zuijderland, ugualmente ripiegato su sé stesso, ma in posizione quasi speculare rispetto al precedente, con le pieghe del gomito della giacca rugate come la fronte.
Scrisse al fratello: “Quanto è bella la figura di un vecchio operaio, con i suoi abiti rattoppati in fustagno e il capo calvo” (6). E informò il suo sponsor van Rappard di questa nuova versione: «Sicuramente ricorderai il disegno Worn out. L’ho rifatto l’altro giorno, tre versioni distinte con due modelli, e ci sto lavorando ancora. Per il momento ho un soggetto; si tratta di un vecchio che siede assorto nei suoi pensieri, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani» (7).
Nell’evoluzione del disegno, tutta la mezza figura, testa e braccia, divenne il quadro, come in una zumata, a rappresentare per intero il dolore dell’anima.
Nello stesso periodo Van Gogh conosce Clasina Maria Hoornick, chiamata Sien “una donna incinta, abbandonata dall’uomo di cui portava il figlio in grembo.” La prende come modella, e vive insieme a lei. Ma non potrà averla come moglie, perché gli viene proibito dalla famiglia e – cosa per lui insopportabile – sconsigliato fortemente dal fratello. Van Gogh è colpito dalla sofferenza di Sien e dalle avversità che l’hanno segnata. Scrive a van Rappard: “Quando la terra non viene messa alla prova, non se ne può ottenere nulla. Lei, lei è stata messa alla prova; di conseguenza trovo più in lei che in tutto un insieme di donne che non siano state messe alla prova dalla vita”.
Quando ancora non la conosceva, nel 1878, aveva spiegato allo zio Cornelius la sua idea di donna che, dopo l’incontro con Sien, appare come una premonizione: “(…) zio Cor mi ha quindi chiesto se la bellezza femminile non avesse alcuna attrattiva per me. Gli ho risposto che mi sentirei più attratto da una donna brutta o vecchia o povera o comunque infelice, ma che, attraverso l’esperienza e il dolore, avesse arricchito la sua mente e la sua anima.” (8)
Van Gogh disegna Sien mille volte nello stesso spazio domestico, sola o con i figli. La disegna in tutte le ore e le intensità della sofferenza: dalla tristezza (Sien with cigar sitting on the floor near stove) alla malinconia “attiva” come la chiamava lui (9), cioè quella che “spera, che aspira e che cerca” (Sien sitting); fino alla disperazione (Woman sitting on a basket with head in hands).
Fino al famoso Sorrow (Dolore), del 1882: Sien di profilo, nuda, piegata su sé stessa, con la testa nascosta tra le mani, il corpo avvizzito, i capelli ispidi come gli sterpi messi a contorno. E la didascalia alla base con la frase di Jules Michelet: “Comment se fait-il qu’il y ait sur la terre une femme seule, désespérée?”
Van Gogh era entusiasta di questo disegno (10) (“is the best figure I have drawn yet”), e ne trasse la sua prima litografia. Scrisse al fratello che il disegno era la prova della sua sensibilità, capace di riconoscere facilmente il dolore del prossimo: “I don’t think I should be able to draw “Sorrow” if I didn’t feel it.”(11) E su questo disegno affermò la sua concezione dell’arte “Quello a cui miro è maledettamente difficile eppure non penso di mirare troppo in alto. Voglio fare dei disegni che vadano al cuore della gente. “Sorrow” non è che un inizio, forse anche quei piccoli paesaggi come il “Laan van Meedervoort”, “Campi a Ryswyk” e “Aia per seccare il pesce” sono un piccolo inizio. In quelli per lo meno c’è qualcosa che mi viene direttamente dal cuore. Sia nella figura che nel paesaggio vorrei esprimere, non una malinconia sentimentale ma il dolore vero.” (12).
Ma – di più – affermò la sua idea personalissima e sociale della pittura: (…) Cosa sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico o sgradevole – qualcuno che non ha posizione sociale né ne avrà mai una, in breve, l’infimo degli infimi. Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno. Questa è la mia ambizione che, malgrado tutto, è basata meno sull’ira che sull’amore, più sulla serenità che sulla passione. (12)
Adrianus Jacobus Zuijderland e Sien Hoornik si conoscevano ed erano in ottima familiarità. A guardare i disegni sembra di sfogliare un album di famiglia.
Adrianus e Sien conversano (An old man and woman, A orphan man talking with woman), passeggiano ( Man and woman seen from the back, Beach with People Walking and Boats); oppure sono ritratti singolarmente mentre fanno le stesse cose, negli stessi ambienti: attizzano il fuoco, bevono il caffè, pregano.
Ancora. Il vecchio parla con la bambina più grande di Sien (Orphan man sitting with a girl) o tiene il lattante goffamente tra le braccia, come in genere fanno gli uomini (Orphan man with a baby in his arms).
Due disegni ritraggono singolarmente Adrianus e Sien, mentre pregano prima del pasto, ognuno ritratto agli estremi dello stesso tavolo, nello stesso spazio domestico (La preghiera di ringraziamento) (13). Si riesce facilmente a ricomporre la scena unica semplicemente avvicinando i disegni.
Il dolore e la sofferenza hanno sempre la stessa postura, e per rappresentarli bisogna conoscerli molto bene – aveva scritto Van Gogh. Ma – aggiungiamo noi – il dolore e la sofferenza possono essere trasferiti soltanto sulle persone con cui ci identifichiamo, nella donna che Van Gogh amava e nel vecchio a cui voleva bene; oppure nella donna che non riuscirà a sposare e nel vecchio non potrà mai essere. Viceversa i ritratti del Dottor Gachet sono un ottimo esempio di transfert dichiarato. Van Gogh racconta il medico molto simile a lui; unico legame d’affetto in un luogo ostile e durante l’acuzie della malattia mentale. A Gachet Van Gogh attribuiva le sue malattie dell’anima; con lui trovava perfetta intesa in un rapporto medico-paziente assolutamente alla pari.
Nel 1890 Van Gogh disegnò il Dottor Gachet nel famoso ritratto della malinconia “I painted a portrait of M. Gachet with an expression of melancholy, which would seem to look like a grimace to many who saw the canvas” (14); “Meanwhile I have a portrait of Dr. Gachet with the heart-broken expression of our time.” (15)
La postura è quella tramandata dalla storia dell’arte. Per Van Gogh principale riferimento fu certamente Dűrer e la sua Melancolia I (16): la testa su un lato sorretta dalla mano, lo sguardo perso. Quella postura fu usata soltanto per Sien e nei ritratti dell’Arlesiana; mai per altri o per sé stesso.
Aggiungo una nota, forse una curiosità. Gachet era stato assistente di Falret alla Salpetrière, dove aveva maturato una concreta esperienza della patologia mentale. Per la tesi di Medicina, poi sostenuta a Montpellier, scelse di scrivere uno studio sulla melanconia. Nella sua tesi, Gachet riprende numerose idee “classiche”, generalmente ripetute nei manuali e nei dizionari di Medicina del tempo. Sul ritratto somatico della melanconia Gachet scrisse: “Sembra (…) che la creatura si rattrappisca, si ripieghi su se stessa, si comprima, come se dovesse occupare il minor posto possibile nello spazio. La postura del malato è tutt’affatto particolare (…). Il tronco semiflesso sul bacino, le braccia trattenute verso il torace, […] le dita contratte più che flesse (…). La testa quasi piegata sul petto leggermente inclinata o verso destra o verso sinistra. Tutti i muscoli del corpo sono in uno stato di semicontrazione permanente, soprattutto i flessori; (…)”.
Il resto della descrizione è quello che van Gogh ha raffigurato nel ritratto del dottore, ma soprattutto nei suoi primi disegni, quelli di Zuijderland e di Sien, dove sono fissate tutte le caratteristiche semiologiche del volto e del corpo espresse dalla sofferenza, conosciute dal medico per scienza e dal pittore per esperienza di sé.
Nel maggio del 1890, anno della sua morte, appena dopo il recupero dall’ennesima ricaduta della malattia, Van Gogh realizzò alcuni temi religiosi, ripresi da Delacroix; tra essi Il buon samaritano. L’iconografia di questa parabola è vastissima, e legge il racconto in modo assolutamente diverso; il più spesso è condizionata dalla moda di tempi, e meno dal significato del messaggio evangelico sul tema dell’amore verso il prossimo. In certi periodi storici diventò predominante nella scena il paesaggio sulle persone (per esempio Rembrandt fece Paesaggio con buon samaritano), in altri periodi prese importanza il corpo del malato soccorso o il volto di pietà del suo soccorritore. La novità di Delacroix è nell’attenzione rivolta esclusivamente al gesto del samaritano, ritratto mentre cerca di sollevare il corpo dell’uomo che soffre, per collocarlo sul cavallo. Io non so a quale riferimento pittorico Delacroix si rivolgesse né se avesse riferimenti.
Van Gogh riprende da lui il tema, usando una litografia in bianco e nero, e lo realizza a suo modo. Trasforma la successione temporale (sacerdote, levita, samaritano) in scala gerarchica, ribaltandola: al centro in primo piano mette il samaritano, poi il lievita che legge un libro, in fondo – un piccolo segmento verticale – il sacerdote. Al centro dunque il samaritano, che fa tutt’uno con l’uomo soccorso, e viene fissato nello sforzo di sollevare il corpo; il finale è di due persone che faticosamente si abbracciano, nel gesto fisico della compassione.
Bibliografia
1. www.thuisinbrabant.nl
2. David Acton. Master Drawing from the Worcester Art Museum. Easthampton, MA: Hudson Hills, 1998: 158.
3. Lettera a Theo van Gogh, The Hague, 1st October 1882.
4. Lettera 254 a Theo, dicembre 1882.
5. Lettera a Theo, gennaio 1883.
6. Lettera a Theo 288/24.7
7. Lettera a Rappard 26 novembre 1882.
8. Lettera a Theo, 9 gennaio 1878.
9. Vincent Van Gogh. Lettere a Theo sulla pittura. Milano: TEA, 2006: 4.
10. Lettera a Theo van Gogh, The Hague, c. 10 April 1882.
11. Lettera a Theo van Gogh, The Hague, c. 15 April 1882.
12. Lettera a Theo van Gogh, The Hague, July 1882.
13. www.lineadombra.it/vg2008/home.php.
14. Lettera a Theo van Gogh. Auvers-sur-Oise, c. 12 June 1890.
15. Lettera a Gauguin, Auvers-sur-Oise, c. 17 June 1890.
16. Vincent Van Gogh. Lettere a Theo sulla pittura, Milano: TEA, 2006: 15.
Linkografia
I disegni di Van Gogh sono visibili nel sito:
www.vggallery.com/index.html
http://www.vangoghmuseum.nl/vgm/index.jsp?page=paginas.talen.it
Le lettere di Van Gogh possono essere consultate a questi indirizzi web:
www.vggallery.com/index.html
www.vangoghletters.org/vg/letters.html
www.webexhibits.org/
Si ringrazia www.vggallery.com per aver messo a disposizione le immagini dei quadri citati nell’articolo