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Leggi tutto La valutazione del dolore nei non udentiCirca 2500 persone con dolore cronico hanno descritto nel rapporto “The Painful Truth” l’impatto del dolore sulla loro vita, esprimendo il proprio parere sulle cure…
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Leggi tutto Numero 3-2014Numerose evidenze hanno documentato l’importanza di fattori genetici in numerose condizioni cliniche caratterizzate da dolore cronico. Significative associazioni familiari sono state infatti dimostrate in molteplici disordini, quali la fibromialgia, la sindrome del colon irritabile, la cefalea ed alcune artriti croniche, ed alcune indagini condotte su gemelli suggeriscono che fattori genetici possano rivestire un ruolo importante nel dolore cronico diffuso e nel low back pain.
Un numero significativo di geni che modulano la nocicezione sono stati identificati come fattori di rischio per un alterato processing del dolore e per lo sviluppo conseguente del dolore neuropatico. Geni che codificano per i recettori degli oppioidi, per i recettori transitori dei canali cationici, per i recettori NMDA, così come è stata dimostrata un’associazione fra un polimorfismo del COMT (un enzima deputato al controllo del metabolismo delle catecolamine) e del TRPV1 e il grado di dolore percepito. Altri studi hanno poi evidenziato una correlazione fra un gene che codifica per il recettore D4 per la dopamina e lo sviluppo di fibromialgia.
Probabilmente, accanto a fattori genetici, anche fattori ambientali – a questi associati ovvero con questi in cooperazione – rivestono un ruolo importante. Un team di ricerca del King’s College di Londra ha studiato gemelli omozigoti e non-omozigoti, riscontrando nei secondi un aplotipo DNA diverso e, ancora, in questi lo spettro clinico del dolore appariva significativamente differente.
Le differenze genetiche, in senso ampio, possono inoltre non soltanto caratterizzare il diverso tipo ed il diverso grado di dolore, ma appaiono anche in grado di differenziare la risposta alla terapia analgesica. Allora, ad esempio, il genere femminile mostra una più modesta soglia per il dolore, così come nelle etnie ispaniche viene documentata una maggiore prevalenza del dolore cronico, rispetto alle popolazioni non-ispaniche.
L’algologo, in conclusione, deve tener conto anche di queste peculiarità, di genere, di familiarità e di etnia, nel momento della diagnosi e del piano terapeutico di un paziente con dolore.
Stefano Coaccioli
Editor In Chief
RIASSUNTO
La demenza è una malattia cronico-degenerativa in continua crescita nella popolazione odierna; colpisce prevalentemente le persone anziane (dall’1 al 5% della popolazione sopra i 65 anni di età) determinando uno dei principali problemi sanitari e sociali correlati all’invecchiamento. Le demenze determinano profondi cambiamenti nel sistema nervoso centrale; nonostante ciò, le persone affette da demenza sono ancora in grado di percepire gli stimoli algogeni. Il dolore è un problema persistente per molti anziani ed è associato a disabilità fisica e sociale e scarsa qualità di vita. Con il progredire della demenza, il paziente può non essere in grado di comunicare la presenza di dolore; ciò può determinare un sottotrattamento del sintomo. Gli ostacoli che influiscono sulla corretta valutazione del dolore sono l’insufficiente formazione del personale infermieristico e il non uso e/o la mancanza di adeguati strumenti di valutazione. Negli ultimi anni sono state sviluppate numerose scale di valutazione comportamentali del dolore nei pazienti affetti da demenza, ma ad oggi non esiste ancora uno strumento completo e affidabile per la valutazione di questo sintomo. La letteratura raccomanda le scale NOPPAIN, PAINAD e PACSLAC. Ulteriori ricerche sono necessarie in questo campo, per identificare o sviluppare uno strumento adeguato, che tenga conto di tutti i cambiamenti che avvengono nel paziente demente, quando è presente una condizione dolorosa.
Parole chiave: demenza, dolore, infermiere, scale di valutazione