L’Osservatorio sull’impiego dei medicinali (OsMed) ha presentato il rapporto sul consumo dei farmaci nei primi nove mesi del 2014.
Il rapporto ha evidenziato l’aumento del 9-13% nel consumo di oppiacei, in particolare tra gli anziani, e degli antidepressivi. Secondo il presidente della Fondazione Paolo Procacci, Professor Giustino Varrassi, alcune riflessioni sono assolutamente necessarie: “quando si parla in termini percentuali, resta sempre da definire quale fosse il punto di partenza. Facciamo l’esempio di un farmaco (analgesico o non analgesico che sia) registrato ed immesso in commercio nel 2012. Non è difficile immaginare che, a seguito di una buona attività di marketing, il suo uso possa incrementare, ancora nel secondo anno dopo il lancio, del 30%. Anzi, tale valore potrebbe addirittura essere un flop commerciale, dato che il valore di partenza era basso a causa del recente lancio. Dagli Organismi Regolatori, mi aspetterei piuttosto commenti ed analisi scientifiche di dati sulla qualità dei risultati ottenuti con una determinata classe di farmaci o con una singola molecola. Questo dovrebbe, a mio avviso, fare l’AIFA, piuttosto che generare allarmismi che determinano confusione fra i clinici e, soprattutto, fra i malati che, ancora una volta, vengono reindirizzati verso un atteggiamento critico nei confronti del loro medico curante il quale, poverino, ha magari avuto la ‘pessima idea’ di prescrivere un oppiaceo per trattare il loro dolore.” Sul timore di dipendenza da oppiacei tra gli anziani, il professor Varrassi ha aggiunto: “La “dipendenza” ha una origine molto complessa, molto difficilmente possibile nelle persone anziane. I farmaci analgesici in generale (certamente gli oppiacei) sono consegnati al malato solo a seguito di una prescrizione medica. Se i caveat dell’AIFA fossero verità scolpite nella roccia, dovremmo ritenere che la classe medica italiana ha completamente dimenticato qualsiasi principio di farmacologia.
Il difficilissimo tema del trattamento del dolore negli anziani meriterebbe invece un approccio molto diverso, basato su una formazione specifica e qualificata di chi ogni giorno si trova a combattere questo problema sanitario che, grazie ai successi di un SSN che sta determinando un notevole prolungamento delle aspettative di vita, sta diventando molto diffuso. Il tema in discussione non può essere solo la quantità di oppiacei che si utilizzano, ma la qualità del trattamento del dolore erogato dal SSN. Se si concentra l’attenzione su questo aspetto, emergono ancora molte aree di necessario miglioramento. Molte Regioni non hanno ben definito la indispensabile rete assistenziale per i pazienti con dolore, nonostante le indicazioni della legge 38/2010 siano ormai vecchie di 5 anni. Alcune altre hanno una disponibilità di posti letto per Cure Palliative ben al di sotto degli standard ritenuti minimali in altre realtà assistenziali pubbliche dei Paesi con sistemi sanitari a prevalente caratterizzazione pubblica.”
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