Quasi 9 milioni di italiani pagano di tasca propria per avere un infermiere. In un anno si sono rivolti a un infermiere privatamente, pagando di tasca propria, 8,7 milioni di persone (il 17,2% dei cittadini maggiorenni). Sono soprattutto malati cronici (2,8 milioni) e persone non autosufficienti (1,4 milioni). È nel Nord-Ovest che si registra la quota più alta di persone che ricorrono a un infermiere pagandolo di tasca propria (il 25,8% dei residenti adulti), al Nord-Est la percentuale scende all’11,7%, al Centro al 15,4% e al Sud al 14,5%. È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis per l’Ipasvi, la Federazione Nazionale dei Collegi di Infermieri. 2,7 miliardi di euro è il valore annuo dell’«out of pocket» per prestazioni infermieristiche. Sulla base dei dati raccolti dal Censis, in dodici mesi la spesa privata per prestazioni infermieristiche in Italia è stata pari complessivamente a 2,7 miliardi di euro.
Dalle iniezioni alle medicazioni, fino all’assistenza notturna. Quali prestazioni chiedono gli italiani agli infermieri che pagano di tasca propria? Le prestazioni maggiormente richieste sono le iniezioni (58,4%), le perfusioni, le infusioni o le flebo (33,1%), l’assistenza in generale (24,5%), le medicazioni e i bendaggi (24,4%), l’assistenza notturna (22,8%).
Una domanda potenziale ancora maggiore. La domanda potenziale di assistenza infermieristica è ancora maggiore, in quanto in Italia sono 9,1 milioni le persone con patologie croniche (di cui 5,6 milioni anziane) e sono 3,1 milioni le persone non autosufficienti (di cui 1,5 milioni con non autosufficienza molto grave).
Il sommerso: un italiano su due paga in nero. Il 54% degli italiani che hanno pagato di tasca propria un infermiere lo ha fatto in nero: il 45% per l’intera cifra e il 9% in parte. Si ricorre al pagamento in nero a causa della riduzione della capacità di spesa nella crisi di pazienti e famiglie, con conseguente ricerca di prestazioni a prezzi più abbordabili. Secondo gli italiani, gli infermieri liberi professionisti lavorano in nero a causa degli elevati costi legati all’apertura, alla gestione e al mantenimento di una partita Iva (lo pensa il 40,7%), e perché così possono garantire un risparmio ai clienti e anche un abbattimento di costi per se stessi (40,5%). Non sempre ci vuole l’infermiere. Nell’ultimo anno 4,2 milioni di italiani si sono rivolti a figure non infermieristiche per ottenere una prestazione necessaria. Ci si rivolge ad altri per diverse ragioni: la fiducia nella persona cui si fa ricorso (42%), il costo eccessivo di un infermiere professionista (33,7%), la convinzione che per alcune prestazioni l’infermiere non sia necessario (31,5%). Nelle famiglie in cui c’è una badante per una persona non autosufficiente, le badanti gestiscono le terapie farmacologiche (88,8%), fanno iniezioni (32,3%), si occupano di eventuali bendaggi e medicamenti (30,4%), intervengono in caso di esigenze sanitarie (20,5%) e gestiscono un catetere (6,2%). Il 51,5% delle persone che impiegano una badante ritiene che sia preparata per svolgere anche prestazioni infermieristiche e il 30,6% la considera in grado di intervenire in caso di una emergenza sanitaria. Per il 50,9% degli italiani (il 55,4% tra gli anziani, che più hanno bisogno di prestazioni infermieristiche) esistono prestazioni semplici, come le iniezioni o le medicazioni, per cui l’infermiere non è indispensabile. Tutto ciò alimenta il fenomeno dell’inappropriatezza delle prestazioni e il rischio legato a prestazioni non fatte da professionisti.
Il paradosso degli infermieri: tanta richiesta dalle famiglie, ma anche tanti infermieri disoccupati e sottoccupati. I dati indicano che la domanda privata di infermieri, reale e potenziale, è alta e in crescita, e in parte ancora inevasa: il 25,4% degli italiani dichiara di avere difficoltà a trovare un infermiere privato nel territorio in cui vive. Però non sono pochi gli infermieri che non trovano occupazione o che accettano lavori saltuari e/o con pagamenti opachi. Il paradosso si spiega tenendo conto di una serie di fattori: il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, che ha ridotto lo sbocco occupazionale preferito dagli infermieri; il tradizionale ricorso alle reti parentali, relazionali e di vicinato quando si tratta di procurarsi attività infermieristiche private; la presenza crescente di strutture di intermediazione specializzate (cooperative o imprese) che fanno incontrare domanda e offerta comprimendo la remunerazione dell’infermiere; la ridotta propensione degli infermieri a organizzarsi per il lavoro autonomo o in attività di impresa.
Comunicato Censis, 5 marzo 2015