Il dolore nei bambini con deficit cognitivi: importanza della collaborazione tra infermieri e genitori
Gli infermieri in area pediatrica coinvolgono i genitori come ”partner” nella gestione e valutazione del dolore, condividendo forti sentimenti di incertezza e percependo il bisogno di fare affidamento sui genitori per valutare e trattare adeguatamente il dolore nei bambini con deterioramento cognitivo. I risultati di un recente studio publicato su Journal of Paediatric Nursing hanno evidenziato lacune nella pratica e nell’istruzione che possono contribuire all’incertezza degli infermieri e alla dipendenza dai genitori. In questo studio descrittivo qualitativo e interpretativo, “Pain care for children with cognitive impairment: A parent-nurse partnership”, sono state condotte interviste individuali semistrutturate con infermieri pediatrici dei reparti di degenza di un ospedale pediatrico canadese. Le trascrizioni letterali sono state analizzate utilizzando un approccio di analisi tematica induttivo basato sui dati. Sono stati intervistati undici infermieri. Il tema generale era “Valutare il dolore come un outsider: Un gioco di ipotesi completo”. Sono stati identificati sette temi principali: Affidarsi all’esperienza dei genitori per la valutazione del dolore; Brainstorming con i genitori per il trattamento del dolore; Sostenere i genitori come sostenitori della cura del dolore; Individualizzare la cura del dolore con i genitori; Coinvolgere il bambino nella cura del dolore: uno spettro; Barriere nella cura del dolore e Facilitatori per la cura del dolore. Identificando le relative lacune pratiche e formative, le organizzazioni sanitarie possono implementare strategie per supportare ulteriormente gli infermieri nella creazione di partenariati e potenzialmente ottimizzare le pratiche di cura del dolore. (Vincenzo Damico)
Choueiry J, Chartrand J, Harrison D, Don A. Pain care for children with cognitive impairment: A parent-nurse partnership. J Pediatr Nurs. 2024 Apr 9:S0882-5963(24)00120-9. doi: 10.1016/j.pedn.2024.04.002. Online ahead of print. PMID: 38599999
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Valutazione psicometrica della versione italiana del Surgical Fear Questionnaire in pazienti adulti in attesa di intervento di intervento cardiochirurgico maggiore
La paura preoperatoria è una reazione emotiva che può essere osservata in molti pazienti in attesa di sottoporsi ad un intervento chirurgico. Il Surgical Fear Questionnaire (SFQ) è stato originariamente sviluppato per determinare il livello di paura nei pazienti in attesa di intervento chirurgico elettivo o di chirurgia minore. Il questionario è diviso in due sezioni: SFQ-S che si concentra sulla paura dell’intervento(paura a breve termine; Short fear) ed SFQ-L che si concentra sulla paura delle conseguenze dell’intervento(paura a lungo termine; Long-fear). Abbiamo testato la validità e l’affidabilità della versione Italiana della SFQ, validando lo strumento su una popolazione di pazienti in attesa di un intervento di Cardiochirurgia. Il coefficiente α-Cronbach è 0.952 per il “SFQ-S”, 0.920 per il “SFQ-L” e 0.914 per l’intero questionario. L’indice di KMO= 0.89 e il test di sfericità di Barlett= 2992,089 (P<0,001), evidenziano come la dimensione campionaria studiata per l’analisi fattoriale e la matrice di correlazione era adeguata. Il punteggio medio dei pazienti è stato di 26.32 per la SFQ-S, 27.62 per la SFQ-L e 53.94 su scala 0-100 per l’intero questionario. Lo strumento risulta valido ed affidabile nella sua versione Italiana anche per la valutazione della paura di interventi di chirurgia maggiore. (Vincenzo Damico)
Studio di validazione pubblicato su “ANNALI DI IGIENE Medicina Preventiva e di Comunità”. Damico V, Cossalter L, Murano L, D’Alessandro A, Fermi L, Milani M, Demoro G. The psychometric evaluation of the Italian version of the Surgical Fear Questionnaire in adult patients waiting for major cardiac surgery. Ann Ig. 2024 Jul-Aug;36(4):476-486. doi: 10.7416/ai.2024.2622. PMID: 38747081.
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Efficacia degli interventi non farmacologici nel dolore post
Il dolore è un frequente problema di salute post-ictus e per gestirlo vengono comunemente impiegati diversi approcci ed interventi anche non farmacologici. Tuttavia, poche revisioni hanno esaminato l’efficacia di tali interventi, rendendo difficile trarre conclusioni sulla loro utilità. Inoltre, l’analisi dei sottogruppi basata sul livello di dolore post-ictus o sulle caratteristiche dell’intervento viene raramente eseguita. Una revisione e meta-analisi appena pubblicata sul Journal of nursing scholarships (online 8 Nov 2024) ha indagato l’efficacia degli interventi non farmacologici e ha valutato i fattori significativamente associati al dolore post-ictus attraverso un analisi dei sottogruppi. Gli studi rilevanti sono stati ottenuti da sette banche dati, entro Marzo 2024. Gli interventi non farmacologici si dimostrano efficaci nel ridurre il dolore immediatamente dopo l’intervento (SMD aggregati: −0,79; intervallo di confidenza al 95% [CI]: da −1,06 a −0,53; p < 0,001). L’approccio che prevedeva l’agopuntura, l’idrokinesiterapia o riabilitazione in acqua, la terapia laser e l’allenamento riabilitativo si rivelano efficaci per il dolore alla spalla emiplegica post-ictus. Un’analisi aggregata di interventi non farmacologici ha mostrato che sia meno di 4 settimane di interventi non farmacologici o più di 4 settimane sono comunque efficaci nell’alleviare il dolore nei pazienti con ictus. Sono necessari ulteriori studi per determinare gli effetti delle diverse modalità di intervento sull’intensità del dolore conseguente a un ictus. Inoltre, per evitare una sovrastima dell’efficacia dell’intervento, futuri studi randomizzati dovrebbero considerare approcci in cieco agli interventi erogati. Tuttavia da un analisi costo-beneficio-efficacia, gli approcci non farmacologici risultano essere utili e consigliabili per ridurre il dolore post-ictus, in relazione soprattutto agli effetti collaterali minimi o nulli. (Vincenzo Damico)
Saragih, I. D., Suarilah, I., Mulyadi, M., Saragih, I. S. & Lee, B-O. (2024). Beneficial effects of non-pharmacological interventions for post-stroke pain: A meta-analysis. Journal of Nursing Scholarship, 00, 1–14. https://doi.org/10.1111/jnu.13032
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Migliorare l’auto-gestione del dolore nella fase postoperatoria con la formazione video-guidata
Un’efficace gestione del dolore dopo la dimissione è fondamentale per il recupero postoperatorio, e la Self-Efficacy del dolore costituisce una componente cruciale in questo processo. L’educazione del paziente gioca un ruolo chiave. Tra le varie modalità educative, un numero crescente di prove supporta l’efficacia dei metodi basati su formazione video-guidata.
Questo studio pubblicato su Pain Management Nursing ha adottato una progettazione pre-test-post-test, utilizzando il quadro di conoscenza-azione. La raccolta dei dati è durata 3 mesi. L’intervento primario consisteva in un video educativo di 15 minuti che copriva gli aspetti essenziali della gestione del dolore. Dopo l’intervento, la Self-Efficacy del dolore e la preparazione auto-riferita sono state valutate utilizzando rispettivamente il Pain Self-Efficacy Questionnaire e una scala Likert a cinque punti.
I punteggi mediani (IQR) sul questionario della Self-Efficacy sono aumentati in modo significativo da 20 (16) a 32 (14) (p < 0,01). Anche i punteggi medi (SD) relativi alla preparazione riferita dai pazienti sono aumentati da 21,92 (6,53) a 31,85 (2,41) (p < 0,01). Tutti i partecipanti hanno riferito di essere soddisfatti o molto soddisfatti dell’intervento educativo.
La formazione video-guidata è un approccio efficiente in termini di tempo e di costi. Gli operatori sanitari possono prendere in considerazione l’integrazione video nella formazione per migliorare l’auto-gestione del dolore nella fase postoperatoria, migliorando così gli esiti del dolore postoperatorio e l’esperienza di recupero complessiva. (Vincenzo Damico)
Lee YJ, Bettick D, Rosenberg C. Improving Pain Self-Efficacy in Orthopedic Surgery Patients Through Video-Based Education: A Quality Improvement Project. Pain Manag Nurs. 2024 Oct;25(5):451-458. doi: 10.1016/j.pmn.2024.04.008. Epub 2024 May 7. PMID: 38719657.
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Dolore prolungato nei neonati prematuri ricoverati in unità di terapia intensiva neonatale
È stato dimostrato che l’esposizione al dolore ripetitivo (non trattato e sottostimato) durante il periodo neonatale ha importanti effetti a breve e lungo termine sullo sviluppo neurologico del neonato prematuro e può contribuire all’esperienza del dolore prolungato. Ad oggi manca ancora una tassonomia uniforme del dolore prolungato neonatale, il che contribuisce a una gestione non ottimale del dolore nelle unità di terapia intensiva neonatale.
Pubblicata su International Journal of Nursing Studies una revisione per determinare la portata, l’estensione e la natura della letteratura disponibile sul dolore prolungato nei neonati prematuri ricoverati in unità di terapia intensiva neonatale.
I concetti chiave del dolore neonatale prolungato sono stati identificati negli 86 articoli inclusi, come definizioni, indicatori, contesti, scale e conseguenze del dolore prolungato neonatale. Sebbene non sia ancora stato raggiunto un consenso su una definizione, nessun evento immediato ha dimostrato di causare dolore prolungato e gli autori hanno identificato un criterio temporale come rilevante nella definizione del dolore prolungato. È interessante notare che il contesto del ricovero è stato identificato come quello più indicativo di dolore prolungato nei neonati prematuri, mentre sono stati discussi solo interventi limitati di gestione del dolore e le relative conseguenze.
Questa revisione riassume le conoscenze dei concetti chiave necessari per una migliore comprensione del dolore prolungato e sottolinea l’importanza di considerare i contesti di ospedalizzazione per la valutazione e la gestione del dolore prolungato nelle unità di terapia intensiva neonatale, con l’obiettivo di migliorare i risultati dello sviluppo dei neonati prematuri. (Vincenzo Damico)
Breton-Piette A, De Clifford-Faugère G, Aita M. Prolonged pain in premature neonates hospitalised in neonatal intensive care units: A scoping review. Int J Nurs Stud. 2024 Jul;155:104773. Epub 2024 Apr 17. PMID: 38718692.
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Effetto della riflessologia plantare su stress, affaticamento e lombalgia negli infermieri delle unità di terapia intensiva
La riflessologia plantare è una tecnica di massaggio o, più precisamente, di microstimolazione puntiforme applicata principalmente sui piedi e/o eventualmente sulle mani. Secondo i suoi sostenitori, la riflessologia sarebbe indicata nel caso di dolori e disturbi funzionali passeggeri, quali l’indigestione, la tensione nervosa e l’emicrania grazie alla liberazione di endorfine e per ripristinare l’equilibrio delle ghiandole endocrine. Viene pubblicato un RCT da Ayşe Gül Parlak et al. sulla rivista Pain Management Nursing, per valutare l’effetto della riflessologia plantare su stress, affaticamento e lombalgia tra gli infermieri delle unità di terapia intensiva. Questo studio, che utilizza un disegno controllato randomizzato, mirava a determinare l’effetto della riflessologia plantare su stress, affaticamento e lombalgia (LBP). Il campione di studio era composto da 42 infermieri, 21 dei quali soffrivano di lombalgia da almeno 3 mesi e 21 dei quali erano controlli. La riflessologia plantare è stata applicata al gruppo di intervento per 20 minuti (10 minuti su ciascun piede) una volta alla settimana per 4 settimane. Non è stato applicato alcun intervento al gruppo di controllo. I dati sono stati raccolti utilizzando il modulo delle informazioni personali, la scala dello stress percepito (PSS), la scala di gravità della fatica (FSS) e la scala analogica visiva (VAS).
Sulla base della variazione nel tempo dei punteggi medi della scala nei gruppi di intervento e di controllo, è stata riscontrata una diminuzione statisticamente significativa tra i punteggi medi pre-test (prima della riflessologia plantare) e post-test del LBP-VAS ( da 6,33 a 2,24, rispettivamente) e la Fatigue Severity Scale (da 4,81 a 3,60, rispettivamente) nel gruppo di intervento. Sebbene non vi fosse alcuna differenza statisticamente significativa tra i punteggi pre-test e post-test della scala dello stress percepito, si è riscontrata comunque una lieve diminuzione a favore del gruppo di intervento. Sulla base dei risultati emersi da questo trial la riflessologia plantare sembra essere un metodo efficace per ridurre il dolore lombare e l’affaticamento tra gli infermieri di terapia intensiva e potrebbe essere proposto anche ad altre figure professionali.
La riflessologia plantare sebbene faccia emergere risultati promettenti, non è una tecnica sovrapponibile alle metodologie sanitarie, né sostituisce eventuali terapie mediche. In quanto terapia non convenzionale, la riflessologia può essere utilizzata come supporto alle terapie mediche convenzionali. Va infatti sottolineato che in genere si consiglia di diffidare di chi propone la riflessologia plantare come alternativa alla medicina convenzionale, e per questo ad oggi i terapeuti preferiscono riferirsi ad essa con l’appellativo di terapia complementare e non alternativa. (Vincenzo Damico)
Parlak AG, Akkuş Y, Araz Ö. The Effect of Foot Reflexology on Stress, Fatigue, and Low Back Pain in Intensive Care Unit Nurses: A Randomized Controlled Trial. Pain Manag Nurs. 2024 Jun 18:S1524-9042(24)00186-3. doi: 10.1016/j.pmn.2024.05.013. Epub ahead of print. PMID: 38897824.
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Conformità e implementazione del protocollo ERAS: gli ostacoli dal punto di vista infermieristico
Il recupero avanzato dopo l’intervento chirurgico (Enhanced Recovery After Surgery; ERAS) è un concetto che copre pratiche basate sull’evidenza e richiede un lavoro di squadra multidisciplinare, dove gli infermieri svolgono un ruolo chiave nel team. Una ricerca qualitativa è stata condotta per descrivere le esperienze degli infermieri che implementano un protocollo “ERAS” e gli ostacoli che incontrano nella implementazione.
Lo studio pubblicato su J Perianesth Nurs ha individuato tre temi: l’importanza del protocollo ERAS, gli ostacoli al protocollo ERAS, il rispetto del protocollo ERAS e l’applicabilità. Sono stati individuati nove sottotemi: ridurre le complicazioni e accelerare il processo di guarigione, aumentare il livello di soddisfazione, mancanza di conoscenza, confusione del leader, resistenza al cambiamento, mancanza di cooperazione di squadra, politica, leadership e istruzione.
Questo studio ha esplorato le esperienze degli infermieri che implementano almeno una componente dei protocolli ERAS riguardo agli ostacoli all’implementazione del protocollo. Di conseguenza, gli infermieri hanno affermato che la mancanza di informazioni e di cooperazione del team, la complessità del leader e la resistenza al cambiamento costituiscono ostacoli anche solo alla progettazione del protocollo all’interno dell’organizzazione.
Identificare gli ostacoli nell’attuazione dei protocolli è importante per produrre suggerimenti e soluzione. (Vincenzo Damico)
Akbuğa GA, Yılmaz K. Obstacles to Compliance and Implementation of ERAS Protocol From Nursing Perspective: A Qualitative Study. J Perianesth Nurs. 2024 Sep 5:S1089-9472(24)00192-8. doi: 10.1016/j.jopan.2024.05.008. Epub ahead of print. PMID: 39243250.
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Predittori clinici dell’aderenza alla terapia farmacologica nei pazienti con nevralgia erpetica acuta
Il dolore è uno dei sintomi più comuni e dannosi sperimentati dagli individui affetti da nevralgia erpetica acuta (AHN). In questa popolazione, gli studi per determinare le cause che influenzano la compliance dei pazienti in trattamento sono rari. È pubblicato uno studio sulla rivista PAIN MANAGEMENT NURSING (Num-Agosto 2024) che mira a costruire un modello predittivo sulla compliance terapeutica dei pazienti con AHN e a verificarne la performance. In questo studio che ha arruolato 398 pazienti con AHN in terapia farmacologica dimessi da un ospedale da luglio 2020 a ottobre 2022, è stata utilizzata l’analisi di regressione logistica per esplorare i fattori predittivi dell’aderenza terapeutica e a costruire un nomogramma.
Un modello predittivo di compliance terapeutica da parte dei pazienti affetti da AHN è stata costruita sulla base dei seguenti quattro fattori: durata della malattia, gravità del dolore prima del trattamento, convinzioni terapeutiche e comorbidità delle malattie croniche. L’area sotto la curva del modello era 0,766 (intervallo di confidenza al 95% [0,713, 0,819]), con un indice di Youden massimo di 0,431, sensibilità di 0,776 e specificità di 0,655. È stata trovata una curva di calibrazione lineare con una pendenza prossima a 1. Ciò determina che il modello predittivo costruito in questo studio ha buone prestazioni predittive e fornisce un riferimento per lo screening clinico precoce di fattori indipendenti che possono influenzare la compliance terapeutica dei pazienti con AHN. (Vincenzo Damico)
Hui Lyu, Ling-Yan Wang, Rui-Xia Wang, Han Sheng, Jian-Mei Xia, Jun-Ya Cheng,
Clinical Predictors of Medication Compliance in Patients With Acute Herpetic Neuralgia, Pain Management Nursing, August 2024
doi.org/10.1016/j.pmn.2024.07.002.
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Conoscenze, atteggiamenti e pratiche degli infermieri sulla prevenzione delle CLABSI in terapia intensiva
La gestione dei cateteri venosi centrali (CVC) è una procedura frequente nelle unità di terapia intensiva (ICU) e il rischio di infezioni primaria del circolo sanguigno (batteriemia)(CLABSI) risulta essere elevato. La letteratura fornisce agli operatori sanitari linee guida per prevenire il rischio di infezioni da CLABSI.
Una scarsa conoscenza delle linee guida per la prevenzione delle CLABSI nonostante gli atteggiamenti e le pratiche degli infermieri siano soddisfacenti emerge da questo recente studio Italiano publicato su J VASC ACCESS da Vito Muschitiello e colleghi.
E’ stato condotto uno studio trasversale multicentrico tra marzo 2023 e settembre 2023 presso sei unità di terapia intensiva di Bari. L’indagine si componeva di domande a scelta multipla strutturate e redatte sulla base delle linee guida 2011 dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, riguardanti: conoscenze, atteggiamenti e pratica clinica.
Allo studio hanno partecipato 121 infermieri. Il 72% non aveva familiarità con le linee guida, in particolare gli infermieri di età compresa tra 41 e 50 anni (RR = 1,88; CI = 0,78-4,51; p = 0,13) e con più di 10 anni di esperienza lavorativa (RR = 1,56; CI = 0,76-3,23; p = 0,20). Per quanto riguarda gli atteggiamenti, gli infermieri erano consapevoli dell’utilità delle linee guida (Me = 10; IQR = 8-10) e dell’importanza del lavaggio delle mani per la prevenzione delle infezioni(Me = 10; IQR = 10-10) nonostante il 39,7% (n = 48) ritenenevano che i guanti sostituiscano il lavaggio delle mani e non siano state riscontrate differenze statisticamente significative dal confronto dei punteggi con età, esperienza lavorativa e titolo di studio. Il 96,7% sostituisce adeguatamente la medicazione dei CVC; 120 infermieri (99,2%) sostituiscono adeguatamente i set di infusione e il 71,2% ha dichiarato di disinfettare sempre le porte di accesso prima delle infusioni. Infine, 102 infermieri (84,3%) percepiscono il bisogno di ottenere maggiori informazioni sulla prevenzione delle CLABSI. (Vincenzo Damico)
Muschitiello V, Marseglia C, Cusanno L, Termine M, Morgigno A, Schingaro M, Calamita M. Nurses’ knowledge, attitudes, and practices on CLABSI prevention in the Intensive Care Unit: An observational study. J Vasc Access. 2024 Jul 27:11297298241262975. doi: 10.1177/11297298241262975. Epub ahead of print. PMID: 39066652.
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Studio qualitativo su conoscenze, atteggiamenti e percezioni degli infermieri sugli strumenti di valutazione d dolore, delirio e sedazione dei pazienti in terapia intensiva
Dolore, delirio e sedazione dovrebbero essere valutati di routine utilizzando scale di valutazione validate. Il dolore, il delirio e la sedazione gestiti in modo inappropriato nei pazienti critici possono avere gravi conseguenze in termini di mortalità, morbilità e aumento dei costi sanitari. Nonostante i benefici di un approccio integrato alla valutazione del dolore, del delirio e della sedazione, pochi studi hanno esplorato la percezione degli infermieri sull’utilizzo di scale validate per tali valutazioni. Inoltre, nessuno studio ha esaminato la percezione degli infermieri riguardo all’effettuare queste valutazioni come un approccio integrato.
Pubblicato su Australian Critical Care uno studio descrittivo esplorativo qualitativo. Sono stati condotti quattro focus group e 10 interviste individuali con 23 infermieri di una terapia intensiva per adulti da 26 posti letto presso un ospedale universitario metropolitano australiano. I dati sono stati analizzati utilizzando tecniche di analisi tematica.
Sono stati identificati quattro temi: (i) fattori che influenzano la capacità degli infermieri di intraprendere valutazioni del dolore, delirio e sedazione in terapia intensiva; (ii) uso improprio o non uso di strumenti di valutazione e uso di strategie alternative per valutare il dolore, il delirio e la sedazione; (iii) implementare strumenti di valutazione; e (iv) conseguenze di valutazioni non ottimali del dolore, delirio e sedazione. È stata riscontrata una lacuna nell’uso da parte degli infermieri di scale validate per valutare il dolore, il delirio e la sedazione come approccio integrato, e gli infermieri non avevano familiarità con l’utilizzo di un approccio integrato alla valutazione.
Il divario nella pratica potrebbe essere colmato utilizzando una strategia di implementazione attentamente pianificata. Le strategie potrebbero includere politica e protocolli per valutare dolore, delirio e sedazione in terapia intensiva; il coinvolgimento di sostenitori del cambiamento per facilitare l’adozione della strategia di valutazione-gestione, sistemi di promemoria e feedback, ulteriore formazione e formazione continua per gli infermieri.
Correya A, Rawson H, Ockerby C, Hutchinson AM. Nurses’ perceptions of patient pain, delirium, and sedation assessments in the intensive care unit: A qualitative study. Aust Crit Care. 2024 Jul 3:S1036-7314(24)00112-7. doi: 10.1016/j.aucc.2024.05.013. Epub ahead of print. PMID: 38960745.
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Sviluppare la capacità di autocompassione degli studenti di infermieristica
La relazione tra supporto del tutor, autoefficacia assistenziale e intenzione di abbandonare da parte degli studenti infermieri trova nell’autocompassione un ruolo di mediazione e moderazione. L’articolo che segnaliamo ha analizzato questi aspetti, con uno studio trasversale condotto utilizzando un questionario online. Risultati: il supporto del tutor svolge un ruolo in tutte le sfaccettature dell’autocompassione, ma solo due dimensioni di questa variabile (consapevolezza vs. sovraidentificazione) sono significativamente associate a entrambe le dimensioni dell’autoefficacia assistenziale, con effetti inversi. L’autocompassione modera la relazione tra supporto del tutor e intenzione di andarsene. Quindi il supporto del tutor può migliorare l’efficacia assistenziale degli studenti aiutandoli a essere consapevoli delle loro esperienze in modo non giudicante. Un tutor di supporto può mitigare l’intenzione di andarsene aumentando la capacità di autocompassione. I programmi di formazione infermieristica, concludono gli autori, dovrebbero implementare workshop e briefing per sviluppare la capacità di autocompassione degli studenti, per favorire la percezione di efficacia assistenziale negli studenti e ridurre la propensione ad andarsene.
Avilés-González CI, Curcio F, Dal Molin A, Casalino M, Finco G, Galletta M. Relationship between tutor support, caring self-efficacy and intention to leave of nursing students: the roles of self-compassion as mediator and moderator. Int J Nurs Educ Scholarsh. 2024 Oct 28;21(1). doi: 10.1515/ijnes-2023-0101.
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Ipnosi come intervento complementare nella cura del dolore: risultati di una meta-analisi
Questa revisione sistematica mette in luce un tema rilevante nel campo della gestione del dolore: l’ipnosi come intervento complementare. I risultati, sebbene positivi, evidenziano la necessità di affrontare l’ipnosi non solo come strumento autonomo, ma come parte di un approccio terapeutico integrato. Nonostante i bassi livelli di certezza dell’evidenza, l’ipnosi aggiuntiva appare promettente se associata alle cure abituali sia per il dolore acuto (procedure mediche/chirurgiche e cura delle ferite da ustione) che per quello cronico. Inoltre, una riduzione clinicamente rilevante dell’intensità del dolore è stata osservata anche per il dolore cronico quando l’ipnosi è stata abbinata all’educazione. L’ipnosi in aggiunta agli interventi psicologici per il dolore cronico potrebbe non fornire un’ulteriore riduzione del dolore immediatamente dopo il trattamento, ma potrebbe avere benefici a breve termine (3 mesi dopo il trattamento).
L’incompletezza dei resoconti degli studi inclusi impedisce di trarre conclusioni su quali aspetti dell’ipnosi siano più importanti come analgesico aggiuntivo. Negli studi futuri, sono necessari maggiori dettagli sul tipo (ad esempio, induzione, suggestioni) e sugli obiettivi dell’ipnosi per comprendere meglio i meccanismi alla base di qualsiasi effetto aggiuntivo. La varietà di effetti analgesici associati a diversi tipi di intervento impreziosisce la discussione su come personalizzare i trattamenti per massimizzare gli esiti per i pazienti. La proposta di esplorare ulteriormente i meccanismi dell’ipnosi indica un percorso promettente per la ricerca futura, che potrebbe non solo rafforzare la fiducia degli operatori sanitari nella pratica ipnotica, ma anche fornire ai pazienti strumenti più efficaci per affrontare il dolore. La revisione richiede infatti un’attenzione particolare su come l’ipnosi viene integrata nel contesto clinico, ponendo l’accento sulla necessità di uno studio più approfondito e sistematico in futuro. (Milena Muro)
Jones, Hannah G.; Rizzo, Rodrigo R. N. Pulling, Brian W.; Braithwaite, Felicity A.; Grant, Ashley R.; McAuley, James H.; Jensen, Mark P.; Moseley, G. Lorimer; Rees, Amy; Stanton, Tasha R. Adjunctive use of hypnosis for clinical pain: a systematic review and meta-analysis. PAIN Reports 9(5):p e1185, October 2024. | DOI: 10.1097/PR9.0000000000001185
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La respirazione consapevole come approccio aggiuntivo alla gestione del dolore lombare cronico
ll dolore lombare cronico (CLBP) è un problema di salute molto diffuso in tutto il mondo, con importanti implicazioni sociali ed economiche. Questa condizione colpisce individui di tutte le età e classi sociali e crea una notevole riduzione della qualità della vita a causa del dolore e della disabilità associati. Questa scoping review analizza la letteratura sul ruolo della respirazione consapevole nella gestione del CLBP, da sola o insieme alla fisioterapia.
Sono stati identificati gli studi sulla respirazione consapevole e sul CLBP. Sono stati inclusi vari progetti di studio, da quelli descrittivi a quelli randomizzati controllati.
Gli studi esaminati suggeriscono che la respirazione consapevole può migliorare la consapevolezza del corpo dei pazienti con CLBP. In uno studio randomizzato controllato, sia i gruppi di respirazione consapevole che quelli di fisioterapia hanno riportato una significativa riduzione del dolore (VAS: −2,7 respirazione consapevole, VAS: −2,4 fisioterapia) e una migliore qualità della vita (SF-36*: +14,9 respirazione consapevole, SF-36: +21,0 fisioterapia). Yu et al. hanno scoperto che la combinazione di respirazione consapevole con esercizi “core stability” ha prodotto risultati superiori (ORR* = 96,67%) rispetto ai soli esercizi core stability (ORR = 73,33%).
Gli autori concludono che la respirazione consapevole è promettente per la gestione del dolore lombare cronico, con studi che rivelano una riduzione del dolore e una migliore qualità della vita. Combinarla con esercizi “core stability” migliora i risultati. Tuttavia, mancano protocolli standardizzati, il che ne limita l’uso clinico. La ricerca futura dovrebbe concentrarsi su linee guida precise per l’integrazione nella pratica. La respirazione consapevole offre un approccio olistico alla gestione del dolore.
Tedeschi R. Mindful Breathing as an Adjunctive Approach to Chronic Low Back Pain Management: A Scoping Review. Pain Management Nursing 2024; 25: 436-441.
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Studenti di infermieristica e cure palliative: competenze e atteggiamenti auto-percepiti
Lo studio descrittivo multicentrico a cura di Cinzia Lo Iacono e coll. si è occupato di valutare gli atteggiamenti nei confronti dei pazienti morenti e la competenza percepita degli studenti di infermieristica in cure palliative in tre università del Sud Italia, precisamente in Sicilia.
L’assistenza ai morenti può generare infatti ansia e disagio emotivo, in particolare negli studenti di infermieristica, e la competenza percepita potrebbe svolgere un ruolo cruciale nel consentire agli infermieri di svolgere i loro compiti con maggiore sicurezza. Purtroppo, pochi studi descrivono la relazione tra gli atteggiamenti infermieristici degli studenti e l’autoefficacia percepita nelle cure palliative (PC).
È stato condotto studio trasversale da settembre 2022 a marzo 2023 coinvolgendo gli studenti di infermieristica delle tre principali università siciliane. Lo studio comprendeva un’indagine sulle caratteristiche socio-demografiche, la formazione in cure palliative, le conoscenze sulla gestione del dolore e la precedente esperienza con il morire. Inoltre, il questionario Professional Competence of the Core Curriculum in Palliative Care Nursing (CCPCN) e il Frommelt Attitudes Toward Care of the Dying-B versione italiana (FATCOD-B-I) hanno valutato le competenze e gli atteggiamenti emotivi.
Sono stati reclutati 1913 studenti di infermieristica, di cui il 71,3% femmine e il 53,9% di età compresa tra i 18 e i 21 anni. Nell’analisi multivariabile, la formazione pratica al PC è stata un fattore sostanziale di miglioramento delle competenze (Adj-OR 2,78 [95% CI = 2,12-3,65]). Gli studenti di sesso maschile avevano probabilità di competenza più elevate (Adj-OR 1,38 [95% CI = 1,14-1,66]) e la conoscenza percepita era fortemente correlata alla competenza autovalutata. Anche l’avanzamento degli anni accademici ha influenzato positivamente l’autovalutazione della competenza (Adj-OR 1,98 [95% CI = 1,75-2,24]). Per quanto riguarda gli atteggiamenti emotivi, è stato riscontrato che un aumento per quartile del punteggio di competenza migliora il punteggio di atteggiamento (Adj-OR 1,24 [95% CI = 1,13-1,35]).
Conclusioni dello studio: gli studenti di infermieristica acquisiscono un’esperienza preziosa durante l’esperienza clinica. La formazione sulle cure palliative e la conoscenza percepita delle cure palliative aumentano significativamente le competenze degli infermieri e queste ultime sembrano essere fortemente associate agli atteggiamenti. Pertanto, l’introduzione dell’educazione alle cure palliative nel curriculum di base degli infermieri potrebbe essere un modo per ridurre l’ansia e il disagio emotivo nei giovani studenti.
Lo Iacono C, Amodio E, Vella G, Caruso M, D’Anna G, Gambera A, Soresi M, Intravaia G, Latina R. Self-Perceived Competencies and Attitudes on Palliative Care in Undergraduate Nursing Students: A Multicenter Descriptive Study. Nursing Reports. 2024; 14(3):2550-2564. doi.org/10.3390/nursrep14030188
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Processi diagnostici guidati dall’intelligenza artificiale in medicina del dolore?
La diagnosi del dolore è sempre un compito impegnativo a causa della sua natura soggettiva, della variabilità dell’espressione del dolore tra gli individui e della difficile valutazione dei fattori biopsicosociali sottostanti.
In questo scenario complesso, l’intelligenza artificiale (AI) può offrire il potenziale per migliorare l’accuratezza diagnostica, prevedere gli esiti del trattamento e personalizzare le strategie di gestione del dolore. Nell’articolo “Artificial Intelligence-Driven Diagnostic Processes and Comprehensive Multimodal Models in Pain Medicine” di Marco Cascella et al, gli autori analizzano la letteratura attuale sui metodi di diagnosi assistita dal computer e discutono su come le strategie diagnostiche guidate dall’IA possono essere integrate in modelli multimodali che combinano varie fonti di dati, come l’analisi delle espressioni facciali, le neuroimmagini e i segnali fisiologici, sempre con tecniche avanzate di IA. Nonostante i significativi progressi della tecnologia AI, la sua adozione diffusa in ambito clinico deve affrontare sfide cruciali. I problemi principali riguardano le considerazioni etiche relative alla privacy dei pazienti, i pregiudizi e la mancanza di affidabilità e generalizzabilità. Inoltre, è necessaria una validazione di alta qualità nel mondo reale e lo sviluppo di protocolli e politiche standardizzate per guidare l’implementazione di queste tecnologie in diversi contesti clinici.
Cascella M, Leoni MLG, Shariff MN, Varrassi G. Artificial Intelligence-Driven Diagnostic Processes and Comprehensive Multimodal Models in Pain Medicine. Journal of Personalized Medicine. 2024; 14(9):983. doi.org/10.3390/jpm14090983
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Lesioni morali ed esiti di salute mentale negli infermieri: una revisione sistematica
Il danno morale riguarda le conseguenze psicologiche, biologiche, spirituali, comportamentali e sociali delle azioni che violano i valori morali. Può portare ad ansia, depressione, burnout e disturbo da stress post-traumatico. Gli infermieri, che spesso si trovano ad affrontare dilemmi etici, sono particolarmente vulnerabili. Nonostante la sua importanza, la relazione tra danno morale ed esiti di salute mentale negli infermieri rimane poco esplorata. La revisione sistematica a cura di Giuliano Anastasi, Francesco Gravante, Roberto Latina et al si propone di descrivere le associazioni tra danno morale, ansia, depressione e qualità della vita negli infermieri. La revisione è stata registrata in PROSPERO (CRD42023438731) ed è stata condotta seguendo le linee guida PRISMA. Nel dicembre 2023 è stata effettuata una ricerca della letteratura su PubMed, CINAHL, Scopus e Web of Science. Sono state considerate ammissibili le ricerche primarie peer-reviewed che coinvolgevano gli infermieri, pubblicate in inglese o in italiano, senza restrizioni temporali. Il rischio di bias e la qualità delle prove sono stati valutati utilizzando la checklist del Joanna Briggs Institute e l’approccio GRADE. Dei 4730 articoli identificati, otto soddisfacevano i criteri di inclusione. L’analisi ha rivelato associazioni positive significative tra danno morale, ansia e depressione, oltre a un’associazione negativa significativa con la qualità della vita. Questi risultati evidenziano la necessità per i sistemi sanitari di implementare strategie che attenuino il danno morale tra gli infermieri. La ricerca futura dovrebbe dare priorità a studi longitudinali per esplorare le relazioni causali e sviluppare interventi mirati. Inoltre, la standardizzazione del concetto e delle misure del danno morale è fondamentale per migliorare la comparabilità e la comprensione di questo fenomeno.
Anastasi G, Gravante F, Barbato P, Bambi S, Stievano A, Latina R. Moral injury and mental health outcomes in nurses: A systematic review. Nursing Ethics. 2024;0(0). doi:10.1177/09697330241281376
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Soffrire senza rimedio: i sintomi inspiegabili dal punto di vista medico della sindrome fibromialgica e del long Covid
Il termine “sintomi inspiegabili dal punto di vista medico” (MUS) descrive i sintomi cronici per i quali le indagini mediche non riescono a rivelare una patologia o un biomarcatore specifico. Anche se i MUS sono tra i problemi di salute cronici più diffusi nel Nord del mondo, i pazienti che li sperimentano vivono in uno spazio nebuloso. Tale nebulosità è accentuata per le pazienti donne. Inoltre, le donne riferiscono di MUS a tassi più elevati rispetto agli uomini.
In questo articolo le autrici analizziamo i processi di medicalizzazione e femminilizzazione dei MUS concentrandosi su due sindromi particolari: la fibromialgia (FMS) e il long Covid (LC). FMS e LC presentano chiari parallelismi che permettono di tracciare un incontro infelice tra donne e MUS. Chiara Moretti e Kristin Kay Barker dimostrano come le costruzioni mediche di queste due sindromi come categorie di conoscenza siano rappresentazioni dell’incertezza medica nei confronti delle donne pazienti. Esaminano quindi le conseguenze di genere di queste categorie sull’esperienza di malattia. Concludono facendo appello a un riorientamento culturale nel nostro modo di pensare i “sintomi inspiegabili dal punto di vista medico”, incentrato sul riconoscimento che le origini e le manifestazioni di gran parte della sofferenza umana risiedono al di fuori dei modi di conoscenza della medicina. In questo modo, si collegano a rivendicazioni fondamentali dell’antropologia e della sociologia medica: la malattia è più della malattia e la salute non può essere raggiunta principalmente con mezzi biomedici.
Moretti C, Barker KK. Suffering without Remedy: The Medically Unexplained Symptoms of Fibromyalgia Syndrome and Long COVID. Social Sciences. 2024; 13(9):450. doi.org/10.3390/socsci13090450
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L’ipnosi clinica e l’anestesista: un approccio pratico
L’ipnosi clinica è sempre più riconosciuta come una terapia non farmacologica basata sull’evidenza e con una solida base neurobiologica. È poco costosa, sicura, efficace e non richiede attrezzature speciali.
Può essere potenzialmente utilizzata con diversi gruppi di pazienti e in una serie di contesti clinici. I suoi benefici terapeutici, nel contesto dell’anestesia, possono di solito essere realizzati in pochi minuti o addirittura secondi.
I pazienti in un ambiente perioperatorio che genera stress hanno una maggiore probabilità di sperimentare stati ipnotici spontanei e quindi sono particolarmente sensibili agli effetti terapeutici di un intervento ipnotico, soprattutto nel fornire ansiolisi e analgesia. Le esperienze ipnotiche spontanee sono universali nella vita quotidiana. Sono tipicamente riconosciute come periodi di attenzione focalizzata su una particolare attività o processo di pensiero. Tradizionalmente, l’ipnosi è definita come “uno stato di coscienza che implica un’attenzione focalizzata e una ridotta consapevolezza periferica, caratterizzato da una maggiore capacità di risposta alla suggestione.
Gli stati e i fenomeni ipnotici possono insorgere spontaneamente o essere indotti da un terapeuta o dal paziente (autoipnosi).
L’ipnosi clinica in anestesia prevede l’uso dello stato ipnotico spontaneo del paziente o (meno comunemente) l’induzione intenzionale dell’ipnosi, per modificare l’esperienza del paziente in modo terapeutico. (Milena Muro)
Slater P, Van Manen A, Cyna AM. Clinical hypnosis and the anaesthetist: a practical approachBJA February 22, 2024 DOI:https://doi.org/10.1016/j.bjae.2024.01.005
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Test sensoriali quantitativi: guida pratica e applicazioni cliniche
I test sensoriali quantitativi (QST) sono uno strumento promettente per la fenotipizzazione del dolore. Il QST rappresenta un gruppo di test psicofisici clinici che quantificano la funzione somatosensoriale valutando le soglie sensoriali e la tolleranza delle fibre nervose del tessuto cutaneo o muscolare del paziente a una serie di stimoli standardizzati.
Diversi studi hanno confermato l’utilità del QST nella ricerca, per la diagnosi, la valutazione e il monitoraggio dei deficit somatosensoriali. L’Initiative on Methods, Measurement, and Pain Assessment in Clinical Trials (IMMPACT) e il consenso dello Special Interest Group on Neuropathic Pain (NeuPSIG) raccomandano entrambi l’uso del QST per il profilo sensoriale, per migliorare i risultati del trattamento e la progettazione degli studi clinici.
Tuttavia, il QST non è ancora stato ampiamente accettato nella pratica clinica. Uno dei motivi è che il QST richiede personale qualificato per ottenere dati di alta qualità. I medici spesso non sanno come eseguire il QST, interpretare i risultati e non sono consapevoli dell’utilità del test.
La review di illustra le applicazioni cliniche e di ricerca del QST, discute l’attuale evidenza del suo utilizzo e include video di formazione che dovrebbero consentire ai medici di sviluppare le conoscenze e le competenze necessarie per integrare il QST nell’assistenza clinica e nella ricerca.
Come spiegano gli autori dell’articolo pubblicato sul British Journal of Anaesthesia, il dolore è un fenomeno complesso che raggruppa elementi biologici, sociali e psicologici. La gestione del dolore, soprattutto di quello cronico, è impegnativa a causa della grande variabilità tra i pazienti nella risposta agli analgesici, che si traduce in un numero elevato di farmaci necessari per trattare le singole condizioni. Questa variabilità nella risposta al trattamento è probabilmente dovuta all’eterogeneità dei processi fisiopatologici coinvolti nella transizione dal dolore acuto a uno stato cronico. I processi di sensibilizzazione periferica e centrale e la ridotta attività delle vie centrali di inibizione del dolore aumentano la nocicezione e influenzano il fenotipo clinico.
La fenotipizzazione clinica del dolore è quindi un passo importante per capire se la natura e l’intensità del dolore sono modulate da processi periferici e centrali. I trattamenti del dolore possono essere più efficaci se personalizzati in base a fenotipi clinici misurabili piuttosto che basarsi sulla diagnosi. (Milena Muro)
van Driel MEC, Huygen FJPM, Rijsdijk M. Quantitative sensory testing: a practical guide and clinical applications. BJA July 02, 2024. DOI:https://doi.org/10.1016/j.bjae.2024.05.004
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Utilità della realtà virtuale negli effetti collaterali della chemioterapia in pazienti con cancro al polmone
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) identifica il cancro come la principale causa di mortalità prima dei 70 anni in tutto il mondo. Dati recenti relativi al 2020 rivelano che l’Europa ha alti tassi di incidenza e mortalità per cancro, rispettivamente del 22,8% e del 19,6%, seconda solo all’Asia. Tra i diversi tipi di cancro, il tumore al seno emerge come il più diffuso a livello globale (11,7%), seguito dal tumore al polmone (11,4%), che detiene il più alto tasso di mortalità (18%), con 2,21 milioni di nuovi casi e 1,8 milioni di decessi registrati nel 2020. Il panorama dei trattamenti per il tumore del polmone è vario e adattato allo stadio e al tipo di malattia, e comprende la chirurgia, la chemioterapia, la radioterapia, l’immunoterapia e le cure palliative.
Nel corso degli anni, la chemioterapia è emersa come la pietra miliare della terapia del tumore del polmone, rappresentando attualmente la modalità primaria di trattamento, soprattutto per gli stadi avanzati della malattia. Purtroppo la chemioterapia presenta effetti collaterali, dai sintomi fisici, come affaticamento, dolore e nausea, alle conseguenze psicologiche, come ansia e depressione, con impatto sulla qualità di vita dei pazienti.
Alcuni studi dimostrano che quasi il 29% dei pazienti affetti da tumore al polmone potrebbe ricevere la chemioterapia in modo diverso da quanto raccomandato e fino al 12% potrebbe non rispettare le procedure di trattamento prescritte. In ambito oncologico, la mancata aderenza non solo comporta costi economici significativi per i sistemi sanitari, ma può anche portare a un peggioramento degli esiti clinici, influenzando negativamente la prognosi.
La letteratura scientifica sottolinea sempre più il potenziale degli interventi non farmacologici per migliorare il benessere dei pazienti con tumore al polmone sottoposti a chemioterapia. Questo interesse è testimoniato da diversi studi che esplorano strategie come la digitopressione, l’esercizio fisico, le tecniche di rilassamento, lo yoga, la musicoterapia e la meditazione. Inoltre, è stato osservato che gli interventi di realtà virtuale (VR) riducono l’ansia, la depressione, la fatica e la durata percepita delle sessioni di chemioterapia nelle pazienti affette da cancro al seno e alle ovaie e migliorano la qualità della vita e riducono l’ansia nei pazienti affetti da leucemia. Tuttavia, la ricerca esistente su questo argomento è caratterizzata da una qualità variabile e dalla necessità di una maggiore omogeneità. Inoltre, gli studi specifici sull’utilizzo della VR durante la chemioterapia nei pazienti affetti da cancro al polmone sono limitati e datati, anche se i risultati sono incoraggianti.
Lo studio che segnaliamo è stato condotto su 100 pazienti. I partecipanti sono stati suddivisi in un gruppo (n = 55), che ha sperimentato la VR immersiva, e in un gruppo di confronto (n = 45), che ha ricevuto le solite cure. I dati sono stati raccolti attraverso questionari e liste di controllo, compreso il feedback sull’esperienza VR, il dolore, i segni vitali e i comuni sintomi del cancro, valutati attraverso la Edmonton Symptom Assessment Scale. Risultati: La VR ha avuto un impatto significativo sulla riduzione della percezione della durata della chemioterapia. I pazienti hanno riferito alti livelli di soddisfazione e tollerabilità. Non sono stati osservati eventi avversi. La VR non ha avuto un’influenza significativa sull’intensità del dolore o sui segni vitali. Le uniche eccezioni sono state la saturazione di ossigeno, dove è stata registrata una differenza significativa (p = 0,02), e la percezione della durata della chemioterapia.
L’alto livello di coinvolgimento e soddisfazione per l’intervento di VR sottolinea il suo potenziale come efficace intervento di supporto non farmacologico in ambito oncologico, in particolare per i pazienti affetti da tumore al polmone sottoposti a chemioterapia. La capacità della VR di diminuire la percezione della durata della sessione di chemioterapia potrebbe migliorare sostanzialmente il comfort del paziente e la sua aderenza al trattamento. Inoltre, l’assenza di eventi avversi legati all’uso della VR ne evidenzia la sicurezza in ambito clinico. Gli operatori sanitari, compreso il personale infermieristico, sono incoraggiati a considerare l’integrazione della VR accanto ad altri interventi non farmacologici, come suggerito dalla letteratura, per arricchire il supporto offerto ai pazienti oncologici, trasformando l’esperienza del paziente durante trattamenti impegnativi. Gli autori ritengono che lo studio debba essere ripetuto su pazienti sottoposti a più sessioni di chemioterapia, eventualmente anche con gruppi cross-over, non solo sul primo ciclo di chemioterapia che è di solito il meno invalidante, in modo tale da poter studiare a fondo gli effetti di questa metodologia non tossica su un intervento terapeutico generalmente molto invalidante e impattante.
Mitello L, Marti F, Mauro L, Siano L, Pucci A, Tarantino C, Rocco G, Stievano A, Iacorossi L, Anastasi G, Ferrara R, Marucci AR, Varrassi G, Giannarelli D, Latina R. The Usefulness of Virtual Reality in Symptom Management during Chemotherapy in Lung Cancer Patients: A Quasi-Experimental Study. Journal of Clinical Medicine. 2024; 13(15):4374. doi.org/10.3390/jcm13154374
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L’empatia non è nei nostri geni: riflessioni ancora attuali?
Scriveva in proposito Cecilia Heyes su Neuroscience and Biobehavioral Reviews nel 2018 che nella vita accademica e pubblica l’empatia è vista come un valore fondamentale della moralità – un fenomeno psicologico, radicato nella biologia, con effetti profondi nella legge, nella politica e nelle relazioni internazionali. Ma le radici dell’empatia non sono così solide come ci piace pensare. Il meccanismo di corrispondenza che distingue l’empatia dalla compassione, dall’invidia, dalla satira e dal sadismo è un prodotto dell’apprendimento.
Nell’articolo che abbiamo ripreso, pubblicato nel 2018, l’autrice presentava un modello duale che distingue l’Empatia1, un processo automatico che coglie i sentimenti degli altri, dall’Empatia2, processi controllati che interpretano tali sentimenti. Le ricerche condotte su animali, neonati, adulti e robot suggeriscono che il meccanismo dell’Empatia1, il contagio emotivo, si costruisce nel corso dello sviluppo attraverso l’interazione sociale. La corrispondenza appresa implica che l’empatia è allo stesso tempo agile e fragile. Può essere potenziata e reindirizzata da nuove esperienze e spezzata dai cambiamenti sociali.
L’articolo completo può essere reperito qui: Heyes C. Empathy is not in our genes. Neurosci Biobehav Rev. 2018 Dec;95:499-507. doi: 10.1016/j.neubiorev.2018.11.001. Epub 2018 Nov 3. PMID: 30399356.
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Educazione al cammino per la prevenzione delle recidive di lombalgia: uno studio australiano su efficacia e rapporto costo-efficacia
Le recidive di lombalgia sono frequenti e contribuiscono in modo sostanziale al carico patologico ed economico della lombalgia. L’esercizio fisico è raccomandato per prevenire le recidive, ma l’efficacia e il rapporto costo-efficacia di un intervento accessibile e a basso costo, come la camminata, devono ancora essere stabiliti. E questo è stato l’obiettivo degli autori australiani dell’articolo che segnaliamo, sullo studio Walkback, pubblicato su Lancet nel giugno scorso.
WalkBack è stato uno studio randomizzato controllato a due bracci che ha reclutato adulti (di età pari o superiore a 18 anni) provenienti da tutta l’Australia che si erano recentemente ripresi da un episodio di lombalgia aspecifica non attribuito a una diagnosi specifica e durato almeno 24 ore. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a un intervento individualizzato e progressivo di educazione al cammino, facilitato da sei sessioni con un fisioterapista nell’arco di 6 mesi, o a un gruppo di controllo senza trattamento (1:1). Il programma di randomizzazione comprendeva blocchi randomizzati di 4, 6 e 8 persone ed era stratificato in base all’anamnesi di più di due precedenti episodi di lombalgia e al metodo di riferimento. I partecipanti sono stati seguiti per un minimo di 12 mesi e un massimo di 36 mesi, a seconda della data di arruolamento. L’esito primario è stato il numero di giorni prima della prima recidiva di un episodio di lombalgia limitante l’attività, raccolto nella popolazione intention-to-treat attraverso un self-report mensile. Il rapporto costo-efficacia è stato valutato dal punto di vista sociale ed espresso come costo incrementale per quality-adjusted life-year (QALY) (QALY) guadagnato.
Tra il 23 settembre 2019 e il 10 giugno 2022, 3206 potenziali partecipanti sono stati valutati per l’idoneità, 2505 (78%) sono stati esclusi e 701 sono stati assegnati in modo casuale (351 al gruppo di intervento e 350 al gruppo di controllo senza trattamento). La maggior parte dei partecipanti era di sesso femminile (565 [81%] su 701) e l’età media dei partecipanti era di 54 anni (SD 12). L’intervento è stato efficace nel prevenire un episodio di lombalgia limitante l’attività (hazard ratio 0-72 [95% CI 0-60-0-85], p=0-0002). La mediana dei giorni prima di una recidiva è stata di 208 giorni (95% CI 149-295) nel gruppo di intervento e di 112 giorni (89-140) nel gruppo di controllo. Il costo incrementale per QALY guadagnato è stato di 7802 dollari australiani, con una probabilità del 94% che l’intervento fosse economicamente vantaggioso con una soglia di disponibilità a pagare di 28.000 dollari. Sebbene il numero totale di partecipanti che hanno sperimentato almeno un evento avverso nell’arco di 12 mesi fosse simile tra i gruppi di intervento e di controllo (183 [52%] su 351 e 190 [54%] su 350, rispettivamente, p=0-60), c’è stato un numero maggiore di eventi avversi relativi agli arti inferiori nel gruppo di intervento rispetto al gruppo di controllo (100 nel gruppo di intervento e 54 nel gruppo di controllo).
Un intervento individualizzato e progressivo di educazione alla camminata ha ridotto in modo significativo le recidive di lombalgia. Questo intervento accessibile e sicuro potrebbe influenzare le modalità di gestione della lombalgia.
Pocovi NC, Lin CC, French SD, Graham PL, van Dongen JM, Latimer J, Merom D, Tiedemann A, Maher CG, Clavisi O, Tong SYK, Hancock MJ. Effectiveness and cost-effectiveness of an individualised, progressivewalking and educationintervention for the prevention of lowbackpainrecurrence in Australia (WalkBack): a randomisedcontrolledtrial. Lancet. 2024 Jun 19:S0140-6736(24)00755-4. doi: 10.1016/S0140-6736(24)00755-4.
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Scelta del dispositivo di accesso venoso:
le raccomandazioni GAVeCeLT/GAVePed
Nei pazienti pediatrici, la scelta del dispositivo di accesso venoso attualmente dipende dall’esperienza e dalle preferenze dell’operatore e dalla disponibilità locale di risorse e tecnologie specifiche. Tuttavia, considerando le opzioni limitate per l’accesso venoso nei bambini rispetto agli adulti, tale scelta clinica ha una grande rilevanza critica.
Il GAVePed – che è il gruppo di interesse pediatrico del più importante gruppo italiano sull’accesso venoso, GAVeCeLT – ha sviluppato un consenso nazionale sulla scelta del dispositivo di accesso venoso nei bambini.
La consensus è stata pubblicata da Mauro Pittiruti e colleghi su J Vasc Access, sul numero di giugno 2024. Dopo una revisione sistematica delle evidenze disponibili, il panel di consenso (che comprendeva esperti italiani con documentata competenza in materia) ha fornito raccomandazioni strutturate rispondendo a 10 domande chiave riguardanti la scelta dell’accesso venoso sia in emergenza che in situazioni elettive, sia nel bambino ospedalizzato che nel bambino non ospedalizzato. Nelle raccomandazioni finali sono state incluse solo le dichiarazioni che hanno raggiunto un completo accordo. Tutte le raccomandazioni sono state inoltre strutturate come un semplice algoritmo visivo, in modo da essere facilmente tradotte nella pratica clinica.
Pittiruti M, Crocoli A, Zanaboni C, Annetta MG, Bevilacqua M, Biasucci DG, Celentano D, Cesaro S, Chiaretti A, Disma N, Mancino A, Martucci C, Muscheri L, Pini Prato A, Raffaele A, Reali S, Rossetti F, Scoppettuolo G, Sidro L, Zito Marinosci G, Pepe G. The pediatric DAV-expert algorithm: A GAVeCeLT/GAVePed consensus for the choice of the most appropriate venous access device in children. J Vasc Access. 2024 Jun 10:11297298241256999. doi: 10.1177/11297298241256999. Epub ahead of print. PMID: 38856094.
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Raccomandazioni per l’educazione del paziente nella gestione del dolore pelvico persistente
Una revisione sistematica delle linee guida per la pratica clinica
L’educazione del paziente ha un ruolo fondamentale nella gestione del dolore. Esiste una notevole eterogeneità nell’educazione delle pazienti di sesso femminile con dolore pelvico persistente (PPP) e non è chiaro quale sia considerata la migliore pratica clinica. La revisione sistematica a cura di Amelia K. Mardon e coll., pubblicata su Pain di giugno, ha identificato e riassunto le raccomandazioni per l’educazione del paziente nella gestione delle condizioni ginecologiche e urologiche benigne associate alla PPP, come approvato dalle linee guida internazionali.
E’ stata condotta una ricerca nei database di linee guida accademiche e rilevanti pubblicate fino a maggio 2022. Le linee guida incluse erano quelle per la gestione delle condizioni ginecologiche e urologiche benigne associate alla PPP nelle donne adulte, pubblicate in inglese, di qualsiasi data di pubblicazione e approvate da un’organizzazione o società professionale. Due revisori indipendenti hanno esaminato 3.097 documenti; Nella revisione sono state incluse 17 linee guida. La qualità delle linee guida è stata valutata utilizzando lo strumento di valutazione delle linee guida per la ricerca e la valutazione II (AGREE-II). Le raccomandazioni sono state raggruppate utilizzando la sintesi descrittiva. La qualità delle linee guida sul dolore pelvico persistente era generalmente scarsa. Tre linee guida sono state classificate come “eccellenti” (linee guida sull’endometriosi NICE, RANZCOG ed ESHRE) e pertanto raccomandate per l’uso. Undici linee guida (64,7%) raccomandavano l’educazione del paziente per le donne con PPP. Le raccomandazioni per i contenuti formativi erano variabili, tuttavia più frequentemente riguardavano le strategie di trattamento e le diagnosi del dolore pelvico. Per quanto riguarda l’erogazione dell’istruzione, le raccomandazioni più frequenti riguardavano gruppi di sostegno e materiali scritti/stampati. Sono necessarie ulteriori ricerche sugli interventi educativi su misura per le donne con PPP.
Mardon, Amelia K.a,b,c; Leake, Hayley B.a,b; Szeto, Kimberleya,d; Moseley, G. Lorimera,b; Chalmers, K. Janea,b,e,*. Recommendations for patient education in the management of persistent pelvic pain: a systematic review of clinical practice guidelines. PAIN 165(6):p 1207-1216, June 2024. | DOI: 10.1097/j.pain.0000000000003137